Il 7 marzo 1996 entrava in vigore la legge n. 109/96 promossa da LIBERA sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, che prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a quei soggetti – Associazioni, Cooperative, Comuni, Province e Regioni – in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale e lavoro.
Da allora, LIBERA organizza campi estivi dedicati a chiunque voglia dare una mano a rendere questi territori di nuovo fruttuosi e liberi.
Quest’anno ci siamo recati a Mesagne (Brindisi, puglia), per la precisione alla Masseria Canali, per documentare con precisione come si svolge un campo “E!state liberi”.
Masseria Canali apparteneva a Carlo Cantanna, noto mafioso di Mesagne, uno dei primi e più stretti collaboratori di Pino Rogoli. E‘ recluso nel carcere di Opera, con condanna all’ergastolo per il 416bis.
La Masseria, utilizzata come deposito di droga e armi, è stata sequestrata e ristrutturata nel 1994, assegnata alla Cooperativa Terra di Puglia – Libera Terra, che nasce nel 2008 e riceve Masseria Canali nel 2012, assieme ad un vigneto di 35 ettari nella vicina località di Torchiarolo, sequestrato invece a Tonino Screti, cassiere della Sacra Corona Unita, attualmente libero. Dopo la ristrutturazione, i terreni sono inaugurati il 10 luglio 2014.
L’ex proprietario del vigneto passa in macchina dei paraggi dei campi quasi ogni giorno. Quasi a far ricordarci che non è finita.
Il programma delle nostre giornate al campo è molto semplice: la mattina ci si sveglia alle 4.30/5 e si va a lavorare nei campi. Si fa quello di cui c’è bisogno. A Masseria Canali coltivano pomodori, carciofi, grano, d’inverno anche rape, su un terreno di 20 ettari.
A noi, per inciso, è toccato raccogliere i pomodori. Quelli che serviranno per la salsa di LIBERA Terra, il marchio di libera promosso da Coop.
Si lavora finchè il sole lo permette, quindi in media fino alle 10.30. Poi ci si fa una doccia in quella che in questi giorni è stata la nostra casa: la scuola elementare Giovanni Falcone.
Sembra di tornare al ’68 e essere in piena occupazione. Dormiamo su materassi gonfiabili o qualche brandina, ci sono vestiti e zaini sparsi ovunque.
A pranzo siamo di nuovo in Masseria: a prepararci ottimi pasti sono i simpatici e iperattivi signori dello SPI, Sindacato Pensionati Italiani (CGIL). Al secondo giorno di campo c’è già chi si lamenta di quanto ingrasseremo a furia di mangiare così bene (e così tanto). La quantità di cibo è decisamente superiore alle calorie che bruciamo lavorando.
Ma la cosa più bella dei signori e signore dello SPI, è il modo in cui guardano noi ragazzi. Non ci conoscono ma è come se fossero fieri di noi, semplicemente perché siamo qui.
Dopo pranzo teoricamente dovremmo avere un’oretta di libero riposo, ma non sempre ce n’è la possibilità e non ci importa; preferiamo cominciare subito la parte più bella della giornata: la formazione.
Nel pomeriggio infatti il campo prevede l’ascolto di testimonianze, sul tema cardine dell’operato di LIBERA: Ponti di memoria e Luoghi d’impegno.
La testimonianza del nostro primo giorno non possiamo rivelarla, al momento. Possiamo certamente dire che è stata incredibilmente toccante e che siamo onorati di aver partecipato ad un momento secondo noi cruciale per la storia della Mesagne che combatte la mafia.
Quella del secondo giorno riguarda invece la persona di Mirco Dondi, vice presidente di Coop Alleanza 3.0. Ma più che una testimonianza è un commento che dà via a un dibattito molto acceso sul futuro dei giovani e su quanto si può e si deve fare.
I ragazzi del campo cambiano ogni settimana. Nella nostra settimana è proprio la volta dei soci Coop, provenienti da Reggio Emilia, Veneto e zone limitrofe.
Non possiamo non sottolineare che questi ragazzi potrebbero essere ovunque: al mare, in montagna, in campeggio. A divertirsi con i loro coetanei. Invece scelgono di fare volontariato e non un volontariato facile, come tenere compagnia ad un anziano o dare una mano alla mensa dei poveri. Si tratta davvero di dormire un paio d’ore a notte e sentire i muscoli doloranti nei giorni successivi.
Si tratta di voler ascoltare, ogni giorno, storie orribili di rabbia ma mai di rassegnazione. Perché è davvero incredibile come si arriva a parlare dell’orrore, della crudeltà, quando la vedi ogni giorno. Non è freddezza, non è abitudine. Ma è un necessario distacco per evitare che le lacrime ti facciano perdere di vista l’obiettivo principale del tuo racconto.
Tra i primi temi affrontati nei pomeriggi di formazione c’è ovviamente la storia di LIBERA, il percorso affrontato per creare una “cultura della legalità”.
Poi ci si concentra sulla Puglia, su quanto per molti anni si è negato in questo territorio la stessa esistenza della mafia, solo perché non se ne riconoscevano i caratteri gerarchici e regionali.
“La prima volta che abbiamo cercato di organizzare un convegno sulla legalità trovammo tutte le porte chiuse” racconta Don Raffaele. “Solo Molfetta ci diede uno spazio e una possibilità”.
Da allora sono stati fatti molti passi avanti, anche dal punto di vista di ricerche e studi. Maria Luisa, ad esempio, è una giovane ragazza leccese che ci presenta la sua tesi sul ruolo delle donne nella Sacra Corona Unita, sottolineando più volte come la stessa legge abbia favorito il loro operato per un preconcetto culturale incredibilmente sbagliato.
“Ancora oggi, la Mafia attrae. I boss sono venerati più dei santi. Il ragazzino trova nell’autorità mafiosa un esempio e un modello. E noi continuiamo a essere in ritardo.”
La sera ceniamo tutti insieme e poi siamo liberi. Persone più prudenti andrebbero a dormire presto per recuperare un po’ di sonno, ma noi no. Restiamo in giro a chiacchierare finché ci reggono le gambe.
Perché la vera utilità di questo campo non è sfruttare mano d’opera per i terreni di Libera.
E’ far capire a ognuno di noi che non siamo soli.
Che nel mondo, ci sono mille altre persone che non si sono arrese.
E lo si capisce dal modo in cui la lotta alla criminalità rimane un argomento costante anche la sera davanti ad una birra. Dagli occhi lucidi che abbiamo nell’ ascoltare le testimonianze. Dal modo in cui interagiamo con gli ospiti dimostrando una discreta informazione sui fatti e un ulteriore interesse a saperne di più.
Dagli abbracci e gli incoraggiamenti, dalla stima reciproca, dalla consapevolezza di avere qualcosa che ci unisce prima ancora di conoscerci.
Tornando a casa dopo questa esperienza, ci sentiamo più forti, più pronti, animati da una grande speranza e voglia di fare che nessuno potrà toglierci.
Consigliamo a tutti una permanenza in un Campo Libera, anche solo per l’atmosfera.
Un ringraziamento speciale a Lorenzo, a tutti i ragazzi presenti, e ai signori dello SPI.
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