Era uno dei prodotti Netflix più attesi in questa estate ormai passata ma, purtroppo, ha tradito la fiducia inizialmente creatasi. Disincanto (Disenchantment in originale) è quasi un flop.
Inutile tentare di paragonare la serie animata con quella ambientata a Springfield, altro discorso cercare un rimando a Futurama. Il tratto stilistico è verosimile: cambia l’ambientazione, piuttosto dark e in un improbabile Medioevo, ma alcuni personaggi sembrano davvero gli alter ego del cartoon ambientato nel futuro.
La principessa Tiabeanie è un’alcolizzata, ribelle, svogliata, senza particolari interessi né obiettivi nella vita, ma desiderosa di scoprire sé stessa e il mondo. Figlia del Re Zøg, anche lui pieno di difetti e alle prese con una figlia che gli dà solo problemi. Per non parlare dei consiglieri del re, incompetenti e fanatici.
La trama vede il suo intreccio narrativo con l’arrivo di un demone, che la inviterà a seguire la via del male e di un simpatico folletto, ingenuo e sempre di buon umore alla corte di Dreamland. Ebbene Luci, il demone dalle sembianze di un gatto, ricorda sotto molti aspetti Bender, il robot narcisista e pieno di difetti di Futurama . Purtroppo, proprio rispetto a quest’ultimo, non v’è la medesima originalità o lo stesso ritmo della narrazione. Non si sta parlando di un fantasy con episodi auto-conclusivi, se non per i primi episodi, ma manca del mordente. La trama, infatti, prende piede molto lentamente (fin troppo) così da mettere già in una posizione scomoda lo spettare, che perde appetito ed interesse. Se Futurama colpisce sin dall’inizio con ironia (a volte amara ma incidente) come con l’episodio delle cabine del suicidio, nel canovaccio di Dreamland mancano elementi particolarmente caratterizzanti, se non quelli stereotipati del genere.
Se Beam, Elfo e Luci ricordano (non poco) vagamente Leela, Fry, Bender, Groening ha confessato che la serie parte come un dramma prima di essere stato riconvertito sotto molti aspetti da alcuni sprazzi di humor. Può, forse, essere considerato il primo progetto “maturo” del fumettista statunitense che bada più alla trama che agli effetti e alle qualità dei disegni che evidenziano numerosi problemi tecnici. Ma i problemi sono anche altri: i capitoli di Disincanto sono troppo lunghi e alla lunga perdono di efficacia. Le avventure si risolvono con colpi di scena, o presunti tali, banali e poco brillanti, mentre gli obiettivi rimandano ai soliti cliché favolistici: la ricerca della persona scomparsa, prende quel determinato oggetto magico, scappare dai nemici in una situazione critica.
Disincanto è lontana anni luce da serie animate del genere di Bocjack Horsman, Rick & Mory o Final Sapce.
Insomma, Disincanto è una serie senza infamia né lode che, però, deve essere penalizzata da un fattore di non poco conto: dalla matita (e dal cervello) di Groening ci si aspetta molto di più. Nella speranza della seconda stagione.
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