23 Marzo 2020 - 18:18

Edward Hopper, l’arte della solitudine

edward hopper

Il pittore del realismo americano che ha saputo interpretare e dar voce alla malinconia della società del suo tempo

Edward Hopper è considerato il miglior pittore realista americano del XX secolo. Nacque il 22 luglio del 1882 a Nyack, una piccola cittadina sul fiume Hudson nei pressi di New York City. Studiò alla New York School of Art ma furono i suoi successivi viaggi in Europa a definire il suo stile. Parigi, Londra, Berlino, e in Spagna, dove perfezionò il suo caratteristico gioco di luci ed ombre.

Tornò negli Stati Uniti dove acclamato da critica e pubblico divenne il caposcuola del realismo americano. “Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo”, questa la sua filosofia. L’attenzione di Edward Hopper era incentrata sulla figura del solitario. Sull’angoscia e l’inquietudine dell’abbandono.

I protagonisti delle sue opere abitano universi lontani. I loro vicini ma distanti sguardi sono persi verso un orizzonte che non incontra l’interlocutore e spingono chi guarda ad interrogarsi. Cosa stanno pensando? Sono tristi? Staranno aspettando qualcosa? Saranno in attesa di qualcuno che non arriverà mai?

Ogni relazione umana diventa astratta, concreto resta solo il senso di mistero, reso perfettamente da colori brillanti ma privi di calore. Un’eterna aria di attesa accompagna paesaggi ed oggetti costanti in ogni rappresentazione: scenari urbani desolati, anonime case vicino a una ferrovia o rivolte al mare, distributori di benzina deserti, scorci notturni di città, interni di alberghi e di bar. In un attimo è possibile intendere che il vero soggetto è la solitudine.

Edward Hopper ci insegna che il realismo è anche introspettivo e che ogni uomo porta con se vuoti e profondità inafferrabili. Ad ogni modo ci siamo noi, con il nostro mondo di inquietudini e solitarie domande. Protagonisti di istanti unici che oltrepassano i confini di un quadro, e della nostra limitata comprensione.