Questa settimana prendiamo gli Alburni per “la gola”. A ZONzo ancora nel Cilento, dopo averlo sbirciato dalle vette e dalle barche, ci lasciamo inghiottire dalle Gole del Sammaro
[ads1] La straordinarietà del Cilento sta nel suo svelarsi sempre un pò alla volta. Coerente con il suo modo di essere
slow, non si dà mai in una sola veste, ma sorprende ad ogni incontro con angoli sempre nuovi che credevi di aver già visto, e spettacoli quasi improvvisi che si svelano silenziosi.
Il Cilento è una terra imprevedibile. Oltre le vette degli Alburni, giù i borghi arroccati, dentro i paesi fantasma dichiarati
patrimonio dell’Unesco, dopo le valli, le grotte, le calette segrete del mare e le oasi meravigliose, si nascondono ancora altri paradisi per curiosi
outdoorini vagabondi come noi.
Perché il Cilento non ostenta mai le sue bellezze, ma gelosamente le nasconde. E perdigiorno come noi, che non vorremmo mai tornare a casa e che oziosamente ci concediamo alle meraviglie della natura, soprattutto se ancora inesplorate, questa volta, anche senza guida che “
teneva il passo ai nostri passi”, ci siamo dati e abbandonati ad un
outdoor autogestito. Abbandonati a qualche peccato
di gola a partire da “
quelle del Sammaro”. Dopo aver macinato km lungo la
A3 Salerno Reggio Calabria con le nostre
bat-car (o meglio
out-car, perché sono
“fuor”i come noi), tra inciuci peregrini e cover a voce alta sveliamo dal finestrino i paesaggi che scorrono sul confine tra
il Cilento e il Vallo di Diano. Dopo un tempo indefinito nei nostri cervelli – ricordo che gli
outdoorini hanno
un orologio cerebrale molto diverso da quello biologico, motivo per cui si tengono giovani, qualcuno addirittura in fasce – arriviamo finalmente a
Sacco. Disteso alle falde del monte
Motola di
1700 m di altezza, Sacco emerge in uno scenario aspro in cui appaiono come vicini di casa i confinanti
Roscigno, Corleto Monforte, San Rufo, Teggiano, Piaggine, Laurino. Tutti borghi accovacciati tra il
Passo della Sentinella e la Sella del Corticato, i due principali passi d’accesso al
Vallo di Diano. Scendiamo da Sacco per una strada sterrata dopo aver superato il ponte altissimo di
168 m di altezza, costruito negli anni ’50 proprio sulla gola per collegare Sacco alla strada provinciale Traghettare il ponte e affacciarsi sulla “
montagna spaccata”, sotto la quale poi scopriremo nascondersi lo scorrere delle acque, è da brividi.
Scendiamo quindi lungo un sentiero canticchiando e pensando a quanta strada abbiamo questa volta fatto fare alle nostre auto, rubandola ai nostri piedi. In fondo
quando il gatto non c’è i topi ballano. E mentre siamo concentrati sui
selfie che ci rendono sempre un pò deformi, iniziamo a sentire lo scroscio dell’acqua. Siamo vicino alle nostre Gole. Strette, profonde e selvagge, le
Gole del Sammaro sono il frutto del lavorio dell’acqua che va a confluire nel fiume
Calore e che per millenni ha levigato queste rocce calcaree rendendole letto sul quale potersi liberare. Bianco il fondo e limpida l’acqua: lo spettacolo della
sorgente Sammaro è un tripudio di colori e giochi di luce. Le Gole del Sammaro – che è uno dei principali subaffluenti del Calore salernitano – sono oggi
un’area protetta, classificata dall’Unione Europea come sito di interesse comunitario (Sic). Le Gole sono caratterizzate da
cascate, pareti che quasi si toccano rendendo il corridoio roccioso così stretto da divenire in alcuni punti quasi
grotta, piscine pensili lungo il torrente e una lussureggiante vegetazione che ne rendono un luogo d’interesse
geologico, botanico e faunistico. Denudati chi più chi meno, resistiamo quasi tutti alla tentazione di tuffarci. Solo qualche irriducibile temerario ama fare
Tarzan con una procace
Jane.
L’effetto tonico è assicurato, ci sono temperature da
Titanic.
Ci addentriamo nella roccia incassata e ci sembra di venire a conoscere la natura nelle sue parti più intime e segrete. Siamo nelle sue grotte umide e ci sentiamo un tutt’uno con queste pareti rocciose e levigate. Sotto le nostre gambe le ribelli acque che andranno a confluire prima nel
Ripiti, poi nel
Fasanella ed infine nel
Calore, sotto
Castel S. Lorenzo.
Scoprire la Natura è come fare l’amore con la vita. Ma dire vita per noi è dire tavola.
Non esiste vera felicità senza la piena condivisione. E noi non conosciamo momento di scambio migliore se non quello che ci rende il convivio. Siamo generosi noi dell’Outdoor. Ma soprattutto, dopo la scoperta delle gole, molto bisognosi d’ingoiare qualcosa. Così dalle
chiare e dolci acque del Sammaro puntiamo, per il nostro peccato capitale preferito, alla gola del “
Capitano” di Caggiano. “
Capitano mio capitano”, anche noi approfittiamo dell’
attimo fuggente per finire i nostri piatti ed attingere a quello del compagno più lento. Ma più che
Robin Williams alle prese con i suoi studenti, sembriamo i Totò di turno in un fagocitare misto di
miseria e nobiltà. Grazie ad
antiche ricette tramandate a voce e
prodotti biologici che portavano il profumo della terra ruspante del vallo di Diano, abbiamo scoperto il
post Carmelina: la
signora Caterina. Il
pasticcio rustico caggianese, il
cuculo di fiori di zucca di Auletta, la “
mbuttura” di vitello di Caggiano, il pane cotto con l’uovo, le patate novelle e aromatizzate alla
sandagilesa; olio cilentano, salumi, formaggi, legumi e Lui, il “
nettare di Bacco”, che ha in noi lo stesso effetto della pappa reale. Ci riprende da ogni affanno fisico e mentale. A tavola scopriamo che ogni
outdoorino sta ad un
vero trekker come la carrozzeria di una Ferrari ad un motore della 500.
Un pò
pezzotti come sportivi, ma molto
ruspanti o veraci, a seconda del contesto, e ottimi compagni di viaggio, gli Outdoorini portano in sé ad ogni escursione
la capacità di adattamento e di mimetizzazione che appartiene ad una
natura errante e sperimentatrice. In questo caso ci siamo resi leggermente
agresti. La goliardica compagnia in tavola, la magia del cibo come della natura, l’apertura dell’animo nelle viscere degli Alburni, hanno determinato l’umore di tutti i commensali. Siamo così appagati, che nel
pot-pourri di piatti e fragorose risate sveliamo del tutto gli arcani con
do Nascimento e Wanna Marchi. Fuori il consueto rovescio pomeridiano –
a’ buriana – dentro, su questa tavola e per gli stessi poteri accreditateci dal Dio Bacco e dalla Dea Demetra, in “
outdoor veritas”. INNO ALLA CELLULITE “Oh incanto della cicciona Gamba di grandezza elefantina
Che al grasso si abbandona
Oh maestà divina
Della coscia avvolta in gelatina
…Evviva le adipose
Adoratrici dello sforzo nullo
che lasciano le odiose
fatiche al mulo
e mangiano tutto ciò che ingrossa il culo”
Enrique Serna
[ads2]