21 Gennaio 2019 - 13:45

Governo: Renzi e la critica al Decreto Dignità

renzi mediaset Decreto Dignità

L’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha duramente criticato il Decreto Dignità. Il tutto tramite una nota pubblicata sul suo sito ufficiale

A conti fatti, ad oggi gli effetti tanto sperati dal Decreto Dignità vanno a corrente alternata. Se al Nord si comincia ad intravedere qualcosa, soprattutto in Veneto, al Sud la situazione è catastrofica. Dunque, come al solito, ci sono due lati della medaglia della riforma, che aiuta tutti, fuorché coloro che devono effettivamente uscire dalla povertà. E, a gongolare ora, è Matteo Renzi.

L’uomo che è stato accusato da tutto e tutti, di qualsiasi cosa. L’uomo che è additato dagli italiani come il principale portatore delle sciagure che stanno colpendo il Paese in questo momento. E che, ora, si prende la sua rivincita ufficiale nei confronti del Governo italiano, composto da 5 Stelle e Lega.

L’ex segretario del Partito Democratico, infatti, ha pubblicato una nota sul suo sito ufficiale, in cui ha risposto a tono a Di Maio e Di Battista, criticando il Decreto Dignità.
Di Maio e Di Battista dicono: “Chi è contro il Reddito di Cittadinanza è contro i poveri, è un radical chic”. Magari fosse così, purtroppo è vero l’opposto: il Reddito di Cittadinanza non è una misura che aiuta a uscire dalla povertà.

Il vero modo di combattere la povertà è creare posti di lavoro, non sussidi. Le persone vanno rese libere e autonome con il lavoro, non dipendenti da procedure complicate o – peggio ancora – dal voto di scambio per politici assistenzialisti. Questo è il nodo concettuale.

Se vuoi combattere la povertà devi creare lavoro. Con l’odiato JobsAct si sono creati più di un milione di posti di lavoro. Con il Decreto Dignità di Di Maio decine di migliaia di persone sono rimaste a casa. Questi sono fatti, ahinoi. Il reddito di cittadinanza è un’elemosina.
Creare posti di lavoro è la politica.

Le vittime della politica

Qui, però, il discorso da fare è ben più ampio, e non si sofferma solamente sulle persone in essere della politica, ma la coinvolge ad ampi gradi. Perché se è vero che il Decreto Dignità, finora, ha creato davvero ben poco rispetto a ciò che avrebbe dovuto fare (anzi, ha disfatto), nemmeno il Jobs Act è esente da colpe.

A partire dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori abrogato selvaggiamente (e senza ritegno) da parte di Matteo Renzi, alla crescita del numero degli occupati a tempo determinato. Ed è tutto qui il gioco: la politica non bada a piani decennali, ma quinquennali. Anzi, molte volte, basta considerare misure sulla base di due o tre anni.

Quindi, siamo in una sorta di limbo, sospesi su un filo sottile talmente tanto da potersi spezzare in pochissimo tempo. Di Maio questo lo sa, perché, contrariamente a ciò che si vuole far credere, il Decreto Dignità ha già cominciato a mietere le sue vittime.

E se il ministro del Lavoro si vanta delle assunzioni fisse in Veneto, bisogna constatare che stiamo parlando di una delle regioni più autosufficienti d’Italia. Il Veneto è capace di ottenere un fatturato autonomo che gli permette, semplicemente, di autofinanziarsi e creare molti più posti di lavoro a margine fisso.

Il parallelo con Renzi

Dunque, Decreto Dignità o meno, la situazione per la regione sarebbe migliorata a prescindere. Ciò che, però, il pentastellato omette volutamente è come la situazione al Sud si sia radicalmente inarcata verso il basso. Prendiamo, ad esempio, Crotone.

Alla Abramo Customer Care, quattrocento dipendenti sono stati barbaramente licenziati proprio a causa dell’effetto del decreto. Delle vere e proprie vittime di una politica magari anche giusta nell’intento, ma funzionalizzata davvero male a causa della corsa all’apparenza.

Una corsa che ha già fatto anche l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. I parallelismi, anche se lo stesso ministro del Lavoro si ostina a non volerne nemmeno sentire parlare, sono ormai evidenti.

All’ex segretario del PD tutto ciò era valso una vera e propria ribellione da parte degli italiani, a distanza di soli 4 anni dalla sua ascesa a capo del Governo. Dunque, Di Maio dovrebbe stare molto attento. Gli italiani, attualmente, saranno anche molto tolleranti e sulle ali dell’entusiasmo dell’anticonformismo del Movimento.

Ma gli umori della piazza possono cambiare da un momento all’altro. E quando le misure attuate presenteranno il conto, ci sarà da piangere. Altro che “avremo abolito la povertà“. Qui si sprofonda sempre di più. E Luigi Di Maio dovrà spiegare all’Italia intera l’ennesimo fallimento della politica italiana.