3 Novembre 2016 - 11:55

Sulla via dei Gravittoni del Cervati

A ZONzo sulla via dei Gravittoni del Cervati, tra muschio, tassi e faggi secolari, racconti di un popolo e storie di montagna. Attraverso i profumi dell’autunno, verso i sapori del Peraino

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Quando c’incamminiamo alla volta della natura, riusciamo a cogliere sempre più intensamente, con quella sensibilità affinata che abbiamo imparato a custodire, tutta la corporeità di ciò che ci sta intorno: i rumori impercettibili del bosco, le sagome mimetizzate degli animali, i tranelli del terriccio, gli odori delle stagioni.

Spesso però dimentichiamo la “storia” che c’è dietro tutto quel mondo naturale: la mano degli uomini che lo hanno vissuto, i loro passi prima dei nostri, i luoghi dove ora sostiamo che loro hanno abitato. E le tracce che hanno lasciato si fanno racconti della montagna.

Sono i segreti del Cervati che oggi si racconta a noi attraverso il recupero delle sue memorie e, tra leggende e piatti della tradizione, scopriamo la più remota identità della più alta vetta della Campania.

gravittoni del cervati

Né da Piaggine né da Sanza, la via dei Gravittoni ci fa partire da Monte San Giacomo alle pendici del Cervati. La nostra meta in realtà è vicina, ma prima di sederci alla tavola del Peraino dovremo fare un giro nel tempo che sarà lungo 8 km.

Curviamo lungo una sterrata e proseguiamo In salita verso il monte Cerasulo. Già pronti con ombrelli e sacche colorate, sentiamo le prime gocce di una giornata che si era annunciata.

Ma la pioggia porta in sé l’odore dell’autunno e svela forti le sfumature del bosco. La terra umida, il retrodore legnoso dei tronchi, le foglie stagnanti e ammassate al posto dell’erba. C’è ovunque il richiamo dei funghi.

E non c’è tentazione più grande della famiglia dei miceti: mazze di tamburo, manine o gallinacci. Dei porcini nemmeno l’ombra, ma con le patate sono buoni tutti. Ad ogni uscita con Outdoor la natura ci assicura anche la cena.

Tra zafferano selvatico che colora di viola il pavimento erboso e cardi commestibili che fanno da spuntino per qualche outdoorino, attraversiamo la sterrata in mezzo al bosco rado e proseguiamo poi sempre dritto fino al valico della Calata dei Vaccari.

Dai colori miti del folto costone alberato arriviamo a quelli intensi dei Gravittoni: rocce bianche e umide invase da cappotti di muschio verde, folto, morbido e carnoso. La tentazione di portarlo a casa e traslocarlo nel presepe in mezzo ai pastori è forte. Ma lo lasciamo tappezzare lì per rispetto della bellezza di quel gioco di colori.

gravittoni del cervati

Alti sulle rocce a farci riparo dalla pioggia, dalla terra si elevano imponenti tassi dalle velenose bacche rosse e faggi secolari con tronchi speculari di un’unica radice. Sotto l’ombra dell’incredibile longevità e del fascino di questi legni, si aprono e sprofondano le doline carsiche dei Gravittoni.

Enormi inghiottitoi, imbuti naturali tipici delle aree carsiche come la nostra ed esistenti sui pianori di rocce calcaree come in molte zone del Cervati, raccolgono l’acqua piovana per poi farla scorrere e penetrare nelle cavità sotterranee.

Ci affacciamo con premura su questi enormi conche ricoperte di foglie e teniamo ben fermi gli scarponi sull’orlo di questa affascinante depressione della terra.

Questa moderna via panoramica sulle conche che ai nostri occhi oggi appaiono innocue ed attraenti, hanno dominato l’esistenza dei nostri padri, un tempo raccoglitori, cacciatori e soprattutto pastori, che in un rapporto di simbiosi con la natura, nel silenzio delle notti passate all’aria aperta, si sentivano insidiati da presenze oscure, sulle quali sono nate e arrivate fino a noi infinite leggende.

Tra queste, il mondo magico delle Ianare, fattucchiere esperte di erbe medicamentose ed in grado di compiere malefici ed incantesimi, che secondo la tradizione uscivano solo di notte spaventando sia i pastori che sostavano nel bosco durante la transumanza, sia i contadini, nelle cui stalle s’intrufolavano per prendere le giumente e cavalcarle tutte la notte.

Il sacco di sale o la scopa che vediamo spesso piazzata davanti alle porte delle stalle è il modo con cui si era soliti in passato e ancora oggi di evitare il rapimento dei cavalli, poiché la janara non poteva resistere alla tentazione di contare i grani di sale o i fili della scopa e, mentre lei fosse stata intenta nella conta, sarebbe venuto il giorno e sarebbe dovuta fuggire.

gravittoni del cervati

Non si può entrare nel vissuto quotidiano del pastore senza tenere conto dell’alone di mistero che lo circondava. Il mondo magico dei pastori apre squarci di comprensione sulla vita arcaica e recupera le memorie delle genti che hanno abitato questi luoghi.

Recuperare la memoria è ricercare la remota identità delle nostre montagne e coltivare il nostro rispetto per loro.

La natura carsica delle terre cilentane comporta una ricchezza di grotte che ha favorito la presenza dell’Uomo risalente al Paleolitico, ossia 500 mila anni fa. Nelle grotte del Cervati da sempre l’uomo si è rifugiato, ha trovato riparo, ha consumato i suoi pasti. E attorno ad esse ha costruito le sue storie. Le storie della montagna.

E noi oggi non potevamo che finire il racconto di queste storie alla casa del Peraino, che ci attende con i “suoi profumi autunnali” alla fine del nostro percorso, a 1.250 m slm.

Fusilli con ragù di castrato, cacio fatto stagionare nelle grotte naturali del Cervati e regina della tavola e della tradizione, patan’ e cicci, pesto di patate e fagioli stufati con paprika e peperoni cruschi, che la comunità di san Giacomo celebra ogni anno in una sagra di fine dicembre.

I piatti sono semplici, il risultato eccellente.

gravittoni del cervati

Sulla tavola dell’outdoor viviamo oggi la natura nella natura e ci sentiamo rurali trekkers al seguito del casaro Leo, che con totale maestria “maneggia” caciocavallo tiepido e ricottine calde.

Il cibo diventa oggi non solo socializzazione e piacere, ma racconto e leggenda. Diventa scoperta.

Gli amici del Peraino ci hanno svelato alla loro tavola ciò che hanno ricevuto in eredità dalla tradizione contadina, quasi in un rituale di rispetto verso la loro terra. Nei loro piatti “l’amore di un paese che racconta le storie delle montagne e che profuma della passione di un popolo che non si arrende”.

“Dentro il bosco che medita sui verdi

chiusi dall’ombra e porta in alto i rami,

in quel tessere fitto di richiami,

di silenzi improvvisi, dove perdi

memoria incamminato nell’ascolto,

vedere è solo credere ai tuoi occhi.”

Alfonso Gatto

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