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Negli ultimi giorni le strade di Hong Kong sono state palcoscenico delle proteste degli attivisti e dei manifestanti, dichiaratisi contrari alla legge sulla sicurezza imposta da Pechino a Hong Kong, approvata lo scorso 1 luglio. Un vero e proprio banco di prova per Pechino, con più di 370 arresti e l’utilizzo di gas lacrimogeni e idranti sulle masse riversatesi nelle piazze di Hong Kong. A capo del rinnovato gruppo di sicurezza, l’ufficiale Zheng Yanxiong, al quale spetterà la giurisdizione sui casi di sicurezza nazionale. La posizione dell’ufficiale è stata, tuttavia, messa da subito in discussione dagli attivisti, a causa della sua condotta durante le proteste anti-corruzione del 2011, tenutesi a Wukan.
Lo scorso anno, Simon Cheng, ex impiegato del consolato di Hong Kong in Inghilterra, era stato detenuto e torturato per giorni dalle autorità cinesi perché accusato di aver fomentato le rimostranze degli attivisti nella città di Shenzhen. Il 2 luglio, la Gran Bretagna ha garantito asilo al giovane attivista, il quale afferma di: “essere grato per il coraggio mostrato dalla Gran Bretagna’, sperando, aggiunge Cheng, che ‘questo possa rappresentare un precedente per tutti coloro i quali si ritrovano ad essere, ancora oggi, privi di protezione”. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto il caso di Cheng in termini di persecuzione politica, decisione che sottolinea l’urgenza di “continuare la lotta contro le forme di totalitarismo‘ e, aggiunge Cheng, la necessità di ‘instaurare e rafforzare la democrazia e la libertà globale”.
All’alba della nuova mossa attuata da Pechino, il caso di Cheng è ora più che mai emblematico. Ancora oggi, un alto numero di richiedenti asilo attende risposta da paesi esteri, come Canada, Taiwan e Australia. Se difatti l’Occidente ha pubblicamente condannato la decisione di Pechino, in quanto violazione del trattato internazionale sull’autonomia di Hong Kong, la forza decisionale della Cina non sembrerebbe affievolirsi. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza al tavolo dell’Onu e avente diritto di veto, schierarsi contro la Cina significherebbe inimicarsi una potenza economicamente e politicamente onnipresente. Non sorprende, dunque, la mancanza di un coalizione compatta contro Pechino.
“Credo fermamente nel bisogno di lottare per la democrazia, non soltanto a Hong Kong, ma in Cina” afferma Cheng, ed è con quest obiettivo che gli attivisti e i protestanti di Hong Kong continuano la lotta contro la decisione di Pechino, nonostante le manovre repressive della nuova legge sulla sicurezza.
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