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Ritorna Il Disprezzo di Godard, nella versione integrale

Il Disprezzo di Jean-Luc Godard (1963) è stato uno dei suoi film meno apprezzati da critica e pubblico, soprattutto nostrani: in realtà la versione italiana aveva perso la sua originaria forza figurativa, e quindi la cifra stilistica del “primo” Godard, a causa della censura del suo produttore. Il 6 febbraio 2017 torna al cinema, in versione integrale e restaurata

[ads1] Il Disprezzo – Le Mépris (1963) di Jean-Luc Godard è la trasposizione dell’omonimo romanzo del 1954 di Alberto Moravia, che il regista franco-svizzero eleva da storia di sentimenti piccolo-borghesi a riflessione sul cinema. La versione di Godard, come il regista stesso dichiara apertamente, dissacra Moravia e il suo romanzo. Infatti sui «Cahiers du Cinéma» dell’epoca si legge: «Il romanzo di Moravia è un volgare e grazioso romanzo da stazione, pieno di sentimenti classici e fuori moda, nonostante la modernità delle situazioni». Godard mostra palesemente che non intende farsi carico del peso morale di Moravia: non è il suo, come potrebbe. Il regista fa della trama un mero pretesto, fagocitandovi Moravia stesso e  accentuandone il carattere erotico e nichilista. Il film si snoda intorno al triangolo tra scrittore, produttore e moglie del primo: con Michel Piccoli (Paul, scrittore e sceneggiatore in crisi), Brigitte Bardot (Camille, moglie di Paul), Jack Palance (il produttore) e il regista Fritz Lang nella parte di se stesso. Girato a Capri e a Villa Malaparte, il paesaggio nel film nel film (l’Odissea riscritta da Paul e girata da Lang) diventa idealmente Itaca. Il film si basa su un rapporto d’amore in cui si insinua il disprezzo dell’altro fino all’indifferenza coniugale: un rapporto che si incrina, diventando distanza, silenzio. Il contrasto con il soleggiato paesaggio mediterraneo rende ancora più lampante il distacco e la freddezza del rapporto. Il disprezzo nasce perché Paul accetta passivamente le insistenti avances che il suo produttore americano fa alla moglie. Paul è evidentemente uno sceneggiatore e un uomo in crisi, incerto se tollerare il meschino atteggiamento del produttore o affrontarlo dicendo addio alla sua carriera: Camille allora perde stima in lui, arriva a disprezzarlo. Il film nel film è un’ennesima Odissea, in cui Capri diventa Itaca, e Paul un redivivo Ulisse che vuole far ritorno a casa, tra le braccia della sua Penelope, la moglie tradita durante il νόστος. Il film non piacque al produttore Carlo Ponti, che stentava a riconoscervi il romanzo di Moravia: riteneva la versione del cineasta francese, tra i più illustri della Nouvelle Vague, troppo licenziosa. Ma la versione italiana che ne derivò fu una vera e propria mutilazione cinematografica: Il Disprezzo venne “italianizzato”, censurato, rimontato, ridotto di circa 20 minuti. Furono cambiati i dialoghi, i nomi dei protagonisti e la sequenza delle scene; furono tagliati i monologhi della coppia e alcune delle scene di nudo di Brigitte Bardot, ritenute troppo esplicite: così venne totalmente stravolto il finale come il senso stesso del film. La stessa colonna sonora originale di Georges Delerue, dal tono più drammatico rispetto a quella di Piero Piccioni, che conferisce alla versione italiana del film un’atmosfera decisamente più scanzonata, portarono Godard a ripudiarne l’autorialità. Ciò che non gli garantì il successo presso il pubblico fu probabilmente l’apologia di un’accentuato antagonismo tra trama e forma: eppure la carica espressiva del film risiedeva proprio nel coreografico vuoto delle parole e degli sguardi muti, esaltati nella loro componente puramente estetica. Il Disprezzo diviene così un puro esercizio di stile, perdendo la spontaneità di una generazione disinvolta e inquieta, come era quella della Nouvelle Vague. Eppure rimane il suo inno alla bellezza, dal corpo nudo di B.B. alla suggestiva Villa Malaparte, celebrato dal potere evocativo delle immagini. Nel gioco di rapporti tra il regista interpretato da Lang (doppio o alter-ego di Godard?) e il produttore americano, come nella crisi tra Paul e Camille, Godard intendeva fare anche un discorso sul cinema in generale: sulla sua crisi, sul dissidio tra arte e commercio. La stessa Camille diventa quindi l’allegoria del Cinema, della contesa tra il far cinema, da puristi, e il fare marketing cinematografico. E allora le parole tra i due sposi acquistano tutto un altro significato, quello della relazione che Godard ha instaurato con il Cinema:
“Quindi mi ami totalmente? Totalmente, teneramente e tragicamente.”
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Redazione ZON

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