Il Governo, il Presidente della Repubblica e l’ex commissario alla spending review. In Italia si traccia la strada verso l’usato sicuro
Meglio il nuovo o l’usato sicuro? E’ questa la domanda che sembra riecheggiare in
Italia negli ultimi anni e sempre più spesso la risposta è una soltanto. Non è solo una questione
istituzionale, o
sportiva, o
culturale – dove si affronta, ogni giorno con una stessa soluzione, la problematica in questione – ma un vero e proprio modo di essere. Per qualcuno, in maniera troppo facile e scontata, si potrebbe dire che si
muore tutti democristiani ma la questione è molto più complessa di quanto appare. Andando per ordine – e sviscerando, attraverso un’attenta analisi, quanto accaduto in questi giorni – si può dire che il maggiore problema per l’
Italia, attualmente, risulta difendere a tutti i costi quello
status quo radicato in così poco tempo nel nostro
Paese (circa 6 anni) e così entrato nelle vite di ognuno (direttamente o indirettamente). Come tutti sanno, dopo
85 giorni di trattative e tentativi falliti, il
Governo Conte non vedrà mai la luce e – come rivelato dall’incarico affidato a
Carlo Cottarelli – pare riproporsi la già citata soluzione dell’usato sicuro. Con
Cottarelli – oltre a riproporre uno schema già collaudato in passato (con probabile nuova maggioranza bipartisan in
Parlamento) – si ripresenta il consueto
modus operandi all’italiana che si pone l’obiettivo di
scegliere di non scegliere. Le vicende che hanno portato alla rinuncia da parte del professore proposto dalla maggioranza
giallo – verde, mentre da un lato mettono in evidenza le prerogative costituzionali con i poteri conferiti al
Presidente della Repubblica dall’altro portano alla scoperta della consueta
ferita italica legata alla paura degli altri (o meglio, la decisione degli altri). Infatti, il
pomo della discordia Savona – divenuto, praticamente, capro espiatorio della celebre
arte non decisoria – rappresenta tutto ciò che nel nostro amato, e straziato, Paese può generare un blocco continuo dell’apparato istituzionale. Considerando la prassi costituzionale disposta dall’
art. 92 del nostro
Testo madre (che recita, al comma 2,
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri) quanto fatto da
Mattarella concerne tutto ciò che viene attribuito di norma al nostro
Capo dello Stato. Le perplessità, però, riguardano per lo più la
giustificazione attribuita dal
Presidente della Repubblica subito dopo l’ultimo colloquio con il
Prof. Giuseppe Conte, in cui si evidenzia – al netto dei distinguo fatti in passato per figure non del tutto
competenti per gli stessi incarichi – una certa ostilità verso modi differenti di osservare la realtà. Difatti, la
chiusura totale a
Savona (già titolare di un Dicastero durante il
Governo Ciampi nel
1993) quale
Ministro dell’Economia – rientrante, in tutto e per tutto, nelle
funzioni conferite dalla
Carta Costituzionale – è stata attribuita più ad una mera (seppur significativa, anche se rimodellata negli ultimi giorni e mai
sperimentata sul campo) visione del
mondo – o meglio dell’Europa ed i suoi
derivati – piuttosto che ad una questione oggettiva sul merito. Nella situazione specifica, quindi, si tende a creare un’ulteriore
impasse istituzionale le cui conseguenze ricadrebbero tanto sulla
libertà di espressione dei singoli (andando a creare quasi uno scontro fra
norme costituzionali) quanto una perenne fase di stallo, tale da poter permettere ai cosiddetti
poteri costituiti (Agenzie di Rating, Stati Europei influenti o chi per loro) di influenzare – in qualunque forma e con una tempistica differente – le scelte di
Stati non conformi. Per quanto riguarda il primo punto, si può dire che la questione diventa spinosa perché – considerando anche il
passato nefasto della nostra Nazione in termini di esponenti dell’
Esecutivo – si impone, in un certo senso, sì un dissenso ma solamente se circoscritto ad un determinato limite imposto da una visione comune mai del tutto digerita. Il fatto, quindi, oltre a dettare il confine reale ad una specifica visione, avrebbe anche il merito di instaurare un continuo
stallo controllato. Questo dato, però, avrebbe ulteriori conseguenze nel futuro di una Nazione in cui – non essendo maturi i tempi per la politica – si azzera, ancor di più ed ancora una volta, la possibilità di prendere una decisione che si discosti da quel quadro di
regole non scritte ma ormai imposte a tutti (e non sempre volute). La questione nazionale, inoltre, si ricollega anche ad una ben più problematica
questione Europea che irrigidirebbe ulteriormente i rapporti con gli
Stati deboli – ma strategici e quindi necessari – e rischierebbe di allentare la presa sul famoso
pacta sunt servanda a causa delle direttive (politiche) prescritte in maniera differente ai vari
Stati membri. Infine, non è possibile non considerare gli effetti del futuro – e quanto mai probabile in questo caso –
Governo Cottareli. Il commissario straordinario per la spending review del
Governo Letta – che rappresenta quanto più l’e
stablishment – avrebbe il merito di risolvere diverse
grane in un solo colpo. Dal punto di vista politico, senza dubbio riporterebbe in auge tanto
Renzi – mai sceso dal carro della leadership democratica – quanto un
Berlusconi da poco riabilitato all’ennesima
discesa in campo e, allo stesso tempo, garantirebbe la
consueta gestione della cosa pubblica proposta dal
Governo Monti in poi. A questo, inoltre, si aggiunge anche
amministrazione delle casse pubbliche in cui – da buon
sforbiciatore – genererà quell’alone di
certezza per mercati ed affini e tante lacrime per la
gente comune. Gli slogan nell’intricata situazione italica si sprecano ma – date le
mosse degli ultimi giorni – si è ben capito che nell’
Italia del XXI secolo un usato sicuro, anche se non del tutto garantito, è sempre meglio di un
pensiero difforme seppur accreditato ed in passato, addirittura, accettato.