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È morto a causa di una lunga malattia, Imre Kertész, lo scrittore ungherese al quale, nel 2002 è stato conferito il premio Nobel per la letteratura “per una scrittura che sostiene la fragile esperienza dell’individuo contro la barbarica arbitrarietà della storia”.
Il riferimento è, ovviamente, alla principale fonte d’ispirazione della sua scrittura: gli anni di detenzione nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald; perché sopravvivere a queste tragedie, non significa poterle dimenticare, come precisò lui stesso dicendo “Ogni volta che penso a un nuovo romanzo penso a Auschwitz”.
Lo scrittore, originario di Budapest, si addentra nel mondo delle lettere subito dopo la sua tragica esperienza, prima scrivendo per un quotidiano della sua città natale, poi iniziando a scrivere romanzi e prestandosi per la traduzione delle opere di grandi autori del passato; provò anche la carriera politica e quella militare, ma poi decise di dedicarsi solo ed esclusivamente alla scrittura.
Inizialmente messo al bando, diventa famoso a livello nazionale e mondiale solo dopo il crollo del muro di Berlino(1989); tra i suoi più grandi romanzi, ricordiamo “Essere senza destino“, la sua prima opera, autobiografica, in cui racconta cosa significa finire in un campo di concentramento a soli quindici anni. Nel 2005 ne fu tratto un film dal titolo “Senza destino”, per la regia di Lajos Koltai, per il quale lo scrittore stesso si occupò della sceneggiatura. Altre sue opere sono: “Storia poliziesca” (1977), “Kaddish per il bambino non nato”(1990), “Il vessillo britannico” (1991), “La lingua esiliata” (2001), “Il secolo infelice” (2007).
Ciò per cui è stato maggiormente apprezzato nei suoi scritti è la sua capacità di addentrarsi nell’animo umano, raccontandone le fragilità, le paure e gli sconvolgimenti più nascosti.
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