“Chissà con chi adesso sei, chissà che cosa fai?? Ma so di certo che mi stai pensando”
19 minuti. Questo è il tempo che ha impiegato Mogol per creare il testo di “E penso a te”, brano inciso nel 1972 da Lucio Battisti e contenuto nell’album “Umanamente uomo: il sogno”.
A dichiararlo più volte è stato lo stesso paroliere, aggiungendo anche che il pezzo è stato interamente creato in autostrada durante un viaggio in automobile sulla Milano-Como. Mogol compose il testo pressoché improvvisando mentre Lucio Battisti, seduto accanto al guidatore, canticchiava la linea melodica.
Il protagonista dell’intero progetto è un uomo, forse sofferente o forse no, che nello svolgimento delle sue normali attività quotidiane viene rapito e distratto dal pensiero di una donna, probabilmente associabile ad un amore infranto. E così, a partire da questa idea, la canzone viene costruita utilizzando come base un gruppo di accordi al pianoforte quasi sussurrati, su cui si vanno ad inserire brevi frasi secche, molto semplici e a tratti anche molto comuni, tutte ricondotte all’ipotetica donna, in un crescendo di malinconia che ha il suo apice nel ritornello.
Nonostante il brano sia da sempre ritenuto un capolavoro senza tempo, paradossalmente Battisti, pur essendone l’autore, è stato uno degli ultimi artisti, seguendo l’ordine cronologico dei primi anni ’70, ad averlo inciso. La canzone, infatti, fu presentata come inedito prima da Bruno Lauzi nel 1970 per poi essere ripresa, nei tre anni successivi, rispettivamente da Raffaella Carrà, Jhonny Dorelli e Mina che probabilmente ne ha creato la versione migliore. Dulcis in fundo Lucio: la sua versione arriva solo nel 1972, a successo già ampiamente riconosciuto.
L’edizione di Battisti, però, è balzata agli onori della cronaca soprattutto per un altro fattore che si distacca fortemente da quello puramente musicale. Stando a quanto rivelato sempre da Mogol in diverse interviste, il brano fu più volte accomunato alla presunta verve fascista che avrebbe accompagnato l’autore laziale nel corso della sua vita. “In quel periodo, gli anni Settanta,” – spiega Mogol – “nelle performance di Battisti si cercava sempre un escamotage per ricondurlo in qualche modo al fascismo. Quando uscì E penso a te facevamo un programma televisivo in cui alla fine, su sfondo nero, Lucio intonava: io lavoro, e penso a te, torno a casa, e penso a te le telefono e intanto penso a te…. ecc ecc . A un tratto alzava il braccio teso: si accendevano le luci e gli ospiti della puntata si univano al coro intonando papapapapà… Era un segnale per il pubblico e invece fu interpretato come un saluto romano.” Come siano andate effettivamente le cose non ci è dato saperlo, anche se Mogol ha più volte affermato come Battisti si professasse “disinteressato alla politica”. Il risvolto più importante di tutta questa storia è il lascito di un capolavoro che ancora oggi mette i brividi.
Di seguito è possibile ascoltare la versione del 1972 di Lucio Battisti eseguita durante una apparizione televisiva:
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