Il passato ultracattolico della Repubblica d’Irlanda ha determinato un impianto legislativo molto netto su alcuni temi: l’omosessualità è stata reato fino al 1990, solo recentemente la legislazione sull’aborto è stata cambiata in senso progressista con un referendum e la blasfemia è ancora un reato, seppur minore. Proprio su questo reato sono chiamati oggi a esprimersi gli irlandesi. La possibilità di eliminare questo reato avrebbe il significato, secondo i promotori della consultazione popolare, di eliminare un ulteriore retaggio del cattolicesimo intransigente che ha alimentato l’Irlanda in passato.
Oggi, una condanna per blasfemia può portare in Irlanda a una multa fino a ventimila euro. In realtà, tuttavia, nonostante la norma sia persino inclusa nella Costituzione irlandese, è da decenni che non vengono formulate condanne in tal senso. Nel 1995 un muratore fece causa a un giornale per alcune vignette secondo lui indecenti e blasfeme sul divorzio, mentre più recentemente il comico Stephen Fry ha rischiato di essere incriminato per aver ridicolizzato e offeso Dio in TV, ma in tutti questi casi la cosa si risolse in un nulla di fatto. Il referendum, quindi, ha un morale soprattutto simbolico. Secondo gli ultimi sondaggi, circa metà della popolazione vuole abolire la norma penale. Ma la grossa fetta di indecisi potrebbe alla fine influenzare in maniera rilevante il voto. In ogni caso a meno di grosse sorprese, sembra che tutto si risolverà nella depenalizzazione della blasfemia.
Ma oggi gli irlandesi sono chiamati al voto anche per eleggere il Presidente della Repubblica, una figura che nella Costituzione irlandese ha ruoli più che altro cerimoniali, ed è eletta in maniera diretta. Il favorito è il Presidente uscente, Micheal D. Higgins, 77 anni, personalità fortemente riconciliatori tra nord e sud.
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