1 Novembre 2022 - 11:36

Israele, il ritorno alle urne: è la quinta volta in 3 anni e mezzo

Dopo le elezioni del 2021, lo Stato di Israele ritorna ai voti per riformare il Governo: non accadeva dal 1948

Israele

Dal 1948, anno della fondazione dello Stato di Israele, il Paese non aveva mai visto un quinto ritorno alle urne nel giro di tre anni e mezzo. La crisi politica, che sembrava essere superata dopo l’entrata del primo partito arabo-israeliano, Ra’am, è giunta più pericolosa di prima.

Secondo i sondaggi, il Paese risulta estremamente polarizzato: forte  la divisione ‘Bibi si’, Bibi no’, che da mesi danno il leader del Likud a un soffio dalla maggioranza di 61 seggi. A preoccupare, in patria e all’estero, è la forte crescita dell’estrema destra di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, alleati in Sionismo Religioso.   

L’anno scorso infatti, il partito ultra-nazionalista e religioso, con grande sorprese, fece il suo ingresso in Parlamento, aggiudicandosi 6 seggi. Dopo un anno, la quantità delle posizioni potrebbe raddoppiare. Il leader Ben Gvir aspira intanto al ministero della Sicurezza Pubblica di Israele.

Cruciale per l’esito delle elezioni israeliane è anche la partecipazione dell’elettorato arabo. Secondo le previsioni, tuttavia, l’affluenza della minoranza potrebbe toccare il minimo storico (39%), inferiore al 44,6% del 2021 che resta finora il record peggiore. Tutto il contrario del 2020 quando i partiti arabo-israeliani – tutti uniti – raggiunsero il picco con il 64,8%, conquistando 15 seggi alla Knesset. Certo non ha aiutato il dissolvimento della Lista unita e la decisione di Balad di correre separata da Hadash-Ta’al per la prima volta dal 2013: il rischio, se non viene superata la soglia di sbarramento del 3,25%, è di regalare seggi preziosi al blocco di Netanyahu, dal momento che i voti di chi non la raggiunge vengono redistribuiti. 

La minoranza araba, che conta per il 20% della popolazione complessiva, è un bacino al quale in molti puntano, soprattutto nella speranza di sbloccare la situazione che si ripete da quattro round di elezioni a questa parte. In questo gioco di ricerca dei votanti per sottrarli agli avversari (ma anche agli amici), l’elettorato arabo sembra restare abbastanza sordo agli inviti a recarsi alle urne di Israele, essendo concentrato su una serie di problemi che affliggono la comunità. In primis, la violenza diffusa nella società araba, seguita dall’emergenza abitativa, e solo in terza battuta lo status della moschea di al-Aqsa e la questione palestinese. Infine, rispetto alle ultime elezioni, non c’è più in gioco Yamina, la creatura dell’ex premier Naftali Bennett: passato il testimone all’attuale premier Yair Lapid, l’ex tecno-colono ha annunciato un passo indietro e ha lasciato le redini alla sua numero due, Ayelet Shaked. Il partito non ha retto il colpo, si è dissolto. Nell’attuale scenario politico manca anche New Hope di Gideon Sa’ar che ha scelto di allearsi con Blu e Bianco di Benny Gantz per formare Unità Nazionale.