La Casa di Carta 4 domina le classifiche. Complice forse anche il lockdown, è la serie più seguita al mondo, confermandosi un fenomeno pop globale.
L’abbiamo vista anche noi. Ci ha lasciato un po’ d’amaro in bocca, tra buchi di trama e momenti trash. Ma andiamo con ordine. Dove eravamo rimasti? La banda si trova nella Banca di Spagna, dove è entrata per trafugare l’oro e salvare Rio (Miguel Herrán), caduto nelle mani della polizia. Il Professore (Álvaro Morte), negoziando fittamente con l’ispettrice Alicia Sierra (Najwa Nimri), ottiene la liberazione del ragazzo. Le cose, però, precipitano: Palermo (Rodrigo de la Serna) è in conflitto con Tokyo (Úrsula Corberó); Nairobi viene colpita da un cecchino e, come se non bastasse, il Professore è convinto che Lisbona (Itziar Ituño) sia stata sparata. Non gli resta che dichiarare guerra allo Stato: la banda lancia due razzi e fa esplodere un blindato dell’Esercito.
I nuovi episodi de La Casa di Carta partono in sordina. Il Professore è accecato dal dolore per aver perso Lisbona; la sua mente, da sempre brillante coordinatrice del piano, non è più lucida. Ne consegue una narrazione rallentata in cui ci sembra che nella sceneggiatura non ci siano spunti capaci di monopolizzare la nostra curiosità.
La soglia dell’attenzione si abbassa. I momenti trash non aiutano. In primis, le versioni inedite di “Ti amo” di Umberto Tozzi e “Cerco un centro di Gravità permanente” di Franco Battiato, intonate da un coro di monaci. In secondo luogo, il ballo scatenato, con alcolici alla mano e musica tecno, di Tokio, Nairobi, Lisbona e Monica per festeggiare un evento assurdo: la nascita di Ibiza. Si tratta del presunto figlio di Nairobi e del Professore, dopo che quest’ultimo acconsente a fecondare la donna. Insomma, in barba i legami interpersonali: proprio quelli che erano banditi quando Sergio assemblò la banda.
Il Professore capisce che Lisbona è ancora viva (a suggerirglielo, Tokio al telefono, animata da un’inconsueta intelligenza). Finalmente, rivediamo il personaggio che abbiamo sempre amato: furbo, astuto, manipolatore, capace di sottrarre terreno alla Polizia. E’ l’ora del piano Parigi: Lisbona, nel corso di un lungo interrogatorio, annienta i presenti con tecnicismi. Poi, è coinvolta in un rapido scambio di ostaggi che ci fa fremere: sfugge alle manette e, anche lei, si introduce nella Banca di Spagna.
Nel frattempo, l’ostaggio Gandia, capo della sicurezza del Banco di Spagna (che vanta nel proprio curriculum missioni segrete illegali in Medio Oriente come assassino) sta vagando a piede libero nella struttura. Siamo in una spirale di adrenalina che sfocia in un iconico funerale, sulle note di Damien Rice.
A farne le spese il personaggio più complesso della banda: Nairobi era l’unica ad avere qualcosa da perdere. Era una criminale, ma prima di tutto una madre. Desiderava rivedere quel figlio che le era stato indebitamente strappato. Desiderava una famiglia. Una fragilità, questa, che le era quasi costata la vita quando, per guardare il suo bambino alla finestra, era caduta nella trappola di Sierra e nella mira di un cecchino. Non è mai stata debole, ma la più umana: “Avete paura? Fa paura anche tornare a casa da sola, ma bisogna vivere fino alla fine“. La ricorderemo così: falsaria, simpatica, caparbia, con il sorriso sul volto e una nostalgia imprecisata negli occhi, femminista, orgogliosa sostenitrice del matriarcato dove a comandare non è solo una donna, ma una personalità.
Il sapore che lascia la quarta parte de La Casa di Carta è agrodolce, seppur il finale riesca parzialmente a redimerla. Le prime due parti sono insuperate e la sensazione è che, se fossero state autoconclusive, avremmo un giudizio migliore della serie spagnola. Inoltre, lo storytelling, inframezzato da ampi flashback in cui rivediamo Berlino, fa pensare più ad una strategia di fan service che ad un reale intento narrativo.
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