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L’altra faccia di Guccini: Vedi cara e l’incomunicabilità emotiva

“Vedi cara, è difficile a spiegare, è difficile capire se non hai capito già”: in questa frase, che fa da ritornello alla canzone – uscita nel 1970 all’interno del secondo album di Guccini: “Due anni dopo”- emerge e si reitera per tutto il brano, l’incapacità del protagonista di rendere chiari i motivi che hanno determinato l’epilogo della sua storia d’amore.

La crisi del rapporto con la futura moglie Roberta, che porterà Francesco a lasciare lei e l’Italia per sei mesi, innamorandosi di una sua allieva americana, Eloise Dunn, fa da pretesto al tema del componimento, tutto giocato sul viaggio introspettivo che ha segnato la fine della relazione.

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I fantasmi che popolano la mente, i voli immensi, gli schianti preannunciati, i giorni lunghi un anno, le frasi vuote, il tempo speso male, il cuore che implode, i sorrisi sprecati: non sono altro che i segnali evidenti di una crisi interiore, che fatica a mostrarsi all’esterno.

Il disagio nasce da un’incomunicabilità di fondo fra i due amanti (così diversi e diversamente innamorati), talmente forte, che inevitabilmente logora, ferisce, separa. In amore non basta una meta comune, bisogna anche saperla raggiungere insieme. Senza soste inutili, senza retorica, senza avvertire la solitudine di non essere completamente in due. Non si tratta di ovviare a banali incomprensioni, ma di colmare uno squilibrio emozionale, una mancanza di empatia, un silenzio più pesante della semplice assenza di parole.

“Quando rido senza muovere il mio viso, quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare”. È come custodire un segreto inconfessabile, che non aspetta altro che essere svelato. Ma ogni sforzo in tal senso si rivela inutile e così il percorso intrapreso si fa tortuoso, la meta sempre più lontana, fino a divenire irraggiungibile.

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Nella parte conclusiva del brano, nonostante il dolore per la rottura, non viene manifestato nessun rimpianto, nessuna recriminazione, nessuna colpa nei confronti della donna, solo la profonda amarezza di aver dato tutto e di non poter ricevere abbastanza. Nemmeno quel tanto che basterebbe a colmare la distanza (non fisica), che amplifica la desolazione di colui che non stava cercando il nuovo o la libertà, ma semplicemente l’amore che il suo cuore potesse riconoscere come tale, e non un banale surrogato di sentimenti di chi ha distrutto (seppur involontariamente) il suo sogno.

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Redazione ZON

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