22 Marzo 2022 - 08:00

Licorice Pizza: Paul Thomas Anderson e l’opera omnia

Licorice Pizza

Con “Licorice Pizza”, Paul Thomas Anderson firma la sua ennesima meraviglia. E lo fa rovesciando il senso dell’operazione amarcord

Uno dei titoli più attesi di questo 2022. Del resto, parliamo di un autore che ha saputo sfondare in modo prepotente nel circuito internazionale fin dai suoi esordi. Da quando Paul Thomas Anderson è sulla scena cinematografica, c’è sempre una certezza che vaga per la mente degli spettatori: quella che il suo prossimo film farà parlare di sé. Ed è proprio così che un regista relativamente giovane (51 anni) ha conquistato il mondo, giungendo ora alla sua nona “fatica”: “Licorice Pizza“.

Titolo evocativo abbastanza da far intendere già le atmosfere di questo nuovo film. Infatti, queste due parole tirano in ballo benissimo la California degli anni Settanta, luogo e tempo del film, in quanto all’epoca c’era una catena di negozi di dischi nel sud dello Stato denominata alla stessa maniera. Una scelta senza dubbio intelligente e ovviamente raffinata.

Licorice Pizza“, naturalmente, in modo simbologico, fa pensare anche ad un altro elemento essenziale di quegli anni: il vinile. Vinile che diventa un vero e proprio status symbol del racconto. Un racconto che si colloca inevitabilmente nel passato portando in auge una storia semplice, diretta, ma allo stesso tempo incredibilmente veritiera e capace di raccogliere tutta l’essenza di Paul Thomas Anderson.

Una storia che fa capire come il regista sia uno tra i migliori interpreti della sua “materia” in assoluto, tale quasi da non avere rivali (o comunque da averne pochi). Il tutto all’insegna di un film che guarda inevitabilmente al passato, dato anche il tempo in cui si colloca, ma che riesce contemporaneamente a rinnovarsi, in un ossimoro che è un po’ la sintesi di tutto ciò che rappresenta il regista. Ma andiamo con ordine.

L’amore che fugge

A conti fatti, “Licorice Pizza” è un film dalla sinossi incredibilmente semplice, che successivamente attinge ad una struttura e ad un mondo incredibilmente complesso e pieno di sfumature. Il fulcro del film è un’avventura sentimentale. Siamo negli anni ’70 e soprattutto siamo nella San Fernando Valley, seguendo la vita di Gary Valentine (un bravissimo Cooper Hoffman, figlio del mai troppo compianto Philip Seymour, grande amico e feticcio proprio di Paul Thomas Anderson).

Quest’ultimo è un quindicenne sicuro, convinto, che nel giorno delle foto a scuola incontra Alana (una meravigliosa Alana Haim), assistente di un fotografo, con cui nasce una solida amicizia. Amicizia che nasconde un rapporto molto più solido, di pura complicità, che li attrae l’uno all’altra.

Il regista segue lo sviluppo di questa “relazione” tra i due. Tra arzigogoli, binari paralleli che poi s’incrociano per poi dividersi nuovamente e tragitti irregolari, “Licorice Pizza” è calato del tutto in un contesto incredibilmente libero ed energico come l’America di allora. E, soprattutto, è un film che trasporta, inevitabilmente, gli spettatori.

Passato, presente e futuro

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con Paul Thomas Anderson, non faticherà a trovarsi di fronte a qualcosa di già visto, apparentemente. “Licorice Pizza” è, a tutti gli effetti, un ritorno alle origini, un ritorno su quei binari già percorsi dal regista e per l’occasione rivisitati in modo assolutamente intelligente, tale da creare qualcosa di totalmente nuovo. C’è, dunque, in contemporanea, quello sguardo al futuro che completa perfettamente l’operazione.

Si potrebbe facilmente pensare a Tarantino, coevo di PTA. A quel “Once Upon A Time In Hollywood” di cui “Licorice Pizza” riprende il clima, gli anni e anche il mood. Ma le suggestioni sono molteplici. In primis, Anderson crea una specie di mondo “speculare“, dove ogni figura che gravita nel mondo è in sostituzione di qualcun altro e dove si rovescia anche il senso dell’operazione amarcord.

L’amarcord, in questo caso, non è più un modo per celebrare il passato, quanto piuttosto un modo per rifuggire dal presente. Se l’universo è del tutto vintage, con la libertà che sembra riaffiorare dritta dalla vecchia e dalla “nuova” Nouvelle Vague (con le corse e gli specchi alla Truffaut e con le carrellate alla Leos Carax sullo sfondo, richiamato nell’uso di David Bowie), le relazioni tra i protagonisti creano qualcosa di nuovo.

E Paul Thomas Anderson riesce nell’impresa di parlare quanto queste ultime siano difficili proprio prendendo come campione un’epoca diversa e una diversa facilità di rapporto. “Licorice Pizza” è dunque un film che sfrutta il passato per parlare del nostro presente e auspicare la bontà del futuro. Un’opera omnia, tout court.

Possibilità e impossibilità

Licorice Pizza” è un film che fa del mezzo cinematografico lo strumento per realizzare l’impossibile. Così, la relazione tra i meravigliosi Alana Haim e Cooper Hoffman, entrambi al loro esordio sul grande schermo, all’apparenza improponibile, diventa realizzabile. Paul Thomas Anderson non si preoccupa dell’età e della verosimiglianza della relazione, ma impone da subito un rapporto quasi “favolistico“.

Rapporto che diventa realtà grazie alla tecnica. Sia essa una tecnica legata al montaggio alternato o ad un semplice campo e controcampo tra gli sguardi “passionali” e appassionati dei due attori. Proprio questa, è la presa di coscienza che muove “Licorice Pizza” verso territori già percorsi dal regista.

Così, il piano sequenza geometrico che riprende il seno di Alana Haim ricorda “Boogie Nights“. La relazione tra i due e le carrellate laterali ricordano “Punch-Drunk Love“. Persino l’universo in cui i due si muovono deve tanto agli scenari di “Inherent Vice“, con annessa moda e vestiario e personaggi surreali, oltre che droghe tipiche dei ’70.

Un rapporto iconico

Un rapporto che sa di libertà e che sa di ripetizione. Del resto, lo stesso copione è basato sulla reiterazione. Nel corso di “Licorice Pizza“, i due protagonisti ripetono a più riprese le parole l’uno dell’altro, come fossero effettivamente due individui identici. Dunque, come tali, sono tesi ad un meccanismo di repulsione, più che di attrazione, almeno inizialmente.

Un meccanismo quasi specchiato. Specchio che tornerà non a caso nella scena più iconica del film, laddove si contiene il vero significato di “Licorice Pizza“. Che è quello di due individui che sono praticamente l’uno il riflesso dell’altra. Portandoli all’incontro/scontro, Paul Thomas Anderson rompe anche quest’altro tabù relazionale.

Qui sono i simili a rendersi inclini, a trasportarsi in modo reciproco. Non c’è più la repulsione dettata da due caratteri uguali, ma anzi quelle due entità, rappresentate da Hoffman e Haim, correranno poi assieme verso la stessa direzione: quella dell’amore.

Un’opera straordinaria e iconica.