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La città di Roma, a circa tre mesi dallo scandalo Mafia Capitale, si sta rendendo protagonista di una serie di vicende surreali che rischiano di far sprofondare ancor di più la Capitale nel baratro.
Nonostante il “j’accuse” di Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità anticorruzione che ha indicato Roma come una città senza anticorpi (per la corruzione), la città capitolina continua a far emergere tutte le criticità del caso, portando all’attenzione nazionale anche un, ormai noto, confronto/scontro politico tra il sindaco Marino, ex dimissionario dalla carica, ed il suo partito di appartenenza, il Pd.
Infatti, tutto è nato dopo il ritiro delle dimissioni del chirurgo/sindaco, rassegnate l’8 ottobre scorso, e le ambigue contromosse messe in atto dal partito di maggioranza relativa, espressione dello stesso sindaco, per evitare di rendersi unicamente responsabile del disastro romano.
La vicenda, nel giro di poche giorni, ha assunto una piega talmente “tragicomica” da rendere l‘amministrazione romana un vero e proprio campo di battaglia in salsa “piddina”.
In questa arena partitica, lo scontro fratricida tra Marino e il Pd (con l’intera attività coordinata dal commissario/presidente Orfini) merita un’ampia riflessione.
Dal suo punto di vista, l’azione portata avanti dall’ex candidato alle primarie Pd sembra rimarcare la volontà di trovare, dato l’appoggio dell’alleato di governo Sel nella vicenda, una maggioranza alternativa a quella esistente e mettere in difficoltà i vertici del Nazareno.
Questa possibilità potrebbe realizzarsi, però, solo in due casi:
Dal versante opposto, il Pd, respingendo la possibilità di sfiduciare il sindaco (azione che individuerebbe, a parere dell’organismo, nel partito di centro-sinistra l’unico colpevo politico), sta preparando la controffensiva attraverso le dimissioni in massa di tutti i suoi rappresentanti (e anche alcuni di Scelta Civica ed altri gruppi consiliari), sperando di raggiungere la quota minima di 25 che imporrebbe la caduta dell’amministrazione comunale.
L’azione, concepita dai vertici dei democrats romani e nazionali, aprirebbe un’ampia discussione sulla reale volontà del partito che prima ha fortemente appoggiato Marino, riuscendo a strappare addirittura un “semi commissariamento” per non perdere tutta la credibilità nella Capitale, e successivamente gli ha voltato le spalle rendedogli la vita impossibile (anche dal punto di vista mediatico).
Non si spiega, invece, la vicenda inerente la sfiducia che, pur esponendo all’eventuale “gogna mediatica” e politica l’apparato, renderebbe effettivamente giustizia alle rimostranze dei diversi esponenti.
La situazione, inoltre, ha avuto il merito di inasprire sia lo scontro tra le fazioni interne al partito che di spaccare, ulteriormente, la base elettorale divisa, ora, tra “mariniani” e sfiduciati.
Labattaglia capitolina è appena iniziata…Proprio quando lo stesso Ignazio Marino risulta indagato per peculato e truffa.
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Nel rispetto della presunzione di innocenza e fermo restando che eventuali giudizi diresponsabilità potranno conseguire…