Per parlare di “Non ci resta che il crimine”, in sala in questi giorni con 01 Distribution, potremmo partire dalla polivalenza del titolo. Ad un livello superficiale, infatti, il film rimanderebbe a “Non ci resta che piangere” di Massimo Troisi; dal punto di vista più profondamente narrativo,invece, è vero che ai tre protagonisti della pellicola, non resta che il crimine per provare a ridare una direzione alle loro esistenze spiantate, vissute nel sogno comune di fare soldi con la pala.
Così Moreno (Marco Giallini), Sebastiano (Alessandro Gassmann) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi), si improvvisano “tour operator”, organizzando un giro a pagamento per i turisti, dei luoghi che hanno caratterizzato l’iperbole criminale della Banda della Magliana. I tre, per uno scherzo della dimensione spazio-temporale, si ritrovano catapultati nell‘Italia del 1982, quella delle Notti Magiche in Spagna.
Per rimanere addentro alla metafora calcistica potremmo dire che sì, anche i nostri giocheranno una loro personale partita contro i “veri” componenti della Banda, guidati da un Enrico De Pedis (alias Renatino) che addosso a Edoardo Leo sembra uno Scarface in anticipo di un anno:
“Ho accantonato l’immaginario di Romanzo Criminale e lasciato perdere le biografie. Piuttosto ho esasperato gli elementi della sceneggiatura, la ferocia e la gelosia di Renatino, fino a renderlo ridicolo e divertente”
(Edoardo Leo, Vanity Fair, 9 Gennaio 2019)
E la suddetta partita, si gioca su campi ben conosciuti e, a dire la verità, forse un filo inflazionati: i soldi, il calcio e l’amore.
A quest’ultimo proposito, forse val la pena segnalare come, interpretando la donna del boss, Ilenia Pastorelli tenga in alto le quote rosa di un film prepotentemente maschile, che apre il finale ad un nuovo viaggio.
“Non ci resta che il crimine”, è infine un omaggio alla stagione d’oro per antonomasia del nostro Paese, elettrizzante ed elettrizzato di fronte alle sue icone (positive): Heather Parisi e la tuta indossata in Fantastico, il rock dei Kiss e le pubblicità che, oggi, sono un ponte, una porta, verso la memoria di un tempo felice in cui tutto era ancora “futuribile”.
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