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L’attività delle centrali nucleari in Italia è durata ben poco. Approvata nel 1963, l’energia nucleare è stata successivamente bandita dal territorio nazionale nel 1990. A distanza di oltre trent’anni, tuttavia, questo argomento è ancora di estrema attualità. Questa notte, infatti, è stata finalmente pubblicata – dopo 6 anni di attesa – una lista completa dei siti idonei al contenimento dei rifiuti radioattivi. Sin dalla data di dismissione, la società Sogin è stata incaricata per lo smantellamento delle centrali. Il problema è, quindi, dove depositare le scorie e le macerie potenzialmente dannose per ambiente e salute. Per questo motivo, nel 2015, il Governo ha dato il via libera alla creazione di un elenco per individuare le zone più adatte a questo compito. Per farlo, sono stati redatti 25 criteri ai quali ogni sito individuato dovesse rispondere.
I Comuni designati sono stati suddivisi in 5 macrozone:
Per individuare i siti ove depositare il materiale nucleare, gli esperti hanno individuato 25 criteri. Innanzitutto le isole sono state parzialmente considerate per la difficoltà di trasporto delle scorie in mare. Sono stati poi esclusi luoghi ad intensa attività vulcanica e sismica (anche quelli lungo una faglia). Escluse ovviamente le zone a ridosso di autostrade, strade statali, centri abitati e zone industriali. Non sono state considerate zone in fasce fluviali o in depositi alluvionali preistorici, quelle a rischio di inondazioni o frane. Le zone a più di 700 metri di altitudine o a meno di 5 km dalla costa, in zone carsiche o a ridosso di un Parco Nazionale o area protetta. Infine, distanza di almeno 1 km da dighe, aeroporti, poligoni militari, zone di sfruttamento minerario.
Dalla data di pubblicazione della Cnapi, Carta Nazionale Aree Potenzialmente Idonee per il deposito di materiale nucleare, partirà un processo che nel giro di qualche anno porterà alla realizzazione effettiva delle suddette aree. Queste dovranno inizialmente contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità e poi anche 17 mila metri cubi ad alta attività. Per effettuare tutte queste operazioni, la spesa stimata è di circa 900 milioni di euro che saranno prelevati dal conto dell’energia elettrica dei contribuenti.
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