Philip Roth era un instancabile osservatore della società americana, analizzata dal punto di vista critico. La sua era una scrittura “di lotta”, in cui proiettava i propri alter ego e la sua identità ebraica
Questa notte
Philip Roth ha dato il suo
ultimo alito di vento. Il suo cuore ha cessato di battere, ma la sua cultura e la sua matrice letteraria non hanno seguito lo stesso percorso. Uno dei più
grandi scrittori americani del Novecento. Era anche uno scrittore “di polso”, che analizzava in maniera
critica e lucida i processi e i cambiamenti culturali americani. Roth era un instancabile osservatore della società americana, descritta in tantissime opere sempre con un umorismo affilato come una lama di rasoio, realista e pungente. Di cultura ebrea, nei suoi libri si nasconde, insita,
una morale che di fatto spoglia i lettori di ogni vestito e li mette a nudo di fronte alla realtà. Una realtà fatta di
pregiudizi e distorsioni (etiche, religiose e sociali), con un attacco celato ad un’opinione pubblica sempre più condizionata, che lo scrittore evidenzia come corrotta. Altro tema centrale è, naturalmente, la proiezione degli
alter ego e della sua identità ebraica. A partire da
Addio, Columbus E Cinque Racconti in poi, infatti, quasi tutti i suoi romanzi sono incentrati su
protagonisti giovani ed ebrei, che si staccano dal ghetto e provano a vivere il “sogno americano”. Storie difficili, piene di tratti psicanalitici e di argomenti “scomodi” come
la sessualità,
l’erotismo,
il diverso e
il razzismo. Proprio su quest’ultimo baserà i suoi due più grandi capolavori, ovvero
Pastorale Americana e
Il Complotto Contro L’America. Da quest’ultimo romanzo sarà tratta, prossimamente, una serie TV. Un grande scrittore, che ha lasciato all’umanità intera un grandissimo patrimonio, sì culturale, ma soprattutto umano.