13 Giugno 2016 - 11:00

Pierre Huyghe, l’immagine e l’archivio trasformato

Continua l’incontro tra cinema e arte contemporanea. Oggi verrà approfondito questo aspetto in Pierre Huyghe, artista che affronta la costruzione del tempo tra racconto e narrazione: come in Ellipse, tratto da Wenders

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Profilo artistico a cura di Rossella Della Vecchia

Pierre Huyghe, nato a Parigi l’11 settembre 1962, è un artista cresciuto in ambienti culturali vicini ai movimenti anarchici e punk. La sua ricerca artistica infatti inizialmente si inspirò al Situazionismo e all’arte di intervento urbano.

Pierre Huyghe, l'immagine e l'archivio trasformatoLa sua indagine informale, di stampo politico, sociale e culturale, apre ad una dimensione utopica quanto ad un impulso archivistico: un fenomeno artistico che accomuna Pierre Huyghe a Douglas Gordon, a Tacita Dean, a Philippe Parreno e molti altri. È questa una generazione di artisti che ha trasformato l’operazione del readymade, oggetto-manifesto di una rivoluzione estetica e concettuale, e la concezione di installazione in assunti postmoderni. In quest’epoca artistica, così intessuta nel sociale da diventarne l’alter-ego, i cult movies hollywoodiani sono diventati le fonti indelebili di immagini ritrovate: lo stesso Huyghe ha ripreso Quel Pomeriggio di un giorno da cani (1975) con Al Pacino affiancato dal protagonista reale della storia.

Alla fine degli anni ’90, questa intuizione rappresentò l’innovazione della tecnica della post-produzione nell’arte. E così nella sua riappropriazione delle immagini cinematografiche, per mezzo di istallazioni a schermo, l’artista induce lo spettatore a completare, nelle lacune temporali del film, l’opera d’arte narrativa.

E se Douglas Gordoncome già scritto –  lavora a “readymade temporali”, e Tacita Dean indaga cose e luoghi abbandonati, Pierre Huyghe si inserisce in questo contesto lavorando a qualcosa che oscilla tra l’installazione privata e l’archivio pubblico. Nella sua arte Huyghe porta all’estremo le complicazioni postmoderniste dell’originalità e dell’autorialità artistica, includendovi anche le contaminazioni tra artista e spettatore, e tra gli stessi artisti, propendendo ad una creatività fondata innanzitutto sulla condivisione.

Pierre Huyghe, l'immagine e l'archivio trasformatoInfatti l’artista francese fin dagli anni Ottanta ha realizzato le sue performances in collaborazione con altri artisti, come il connazionale Philippe Parreno: nel 1999, dopo aver acquistato sul mercato giapponese i diritti di riproduzione di un personaggio manga, insieme realizzarono No ghost just a shell (1999-2003), che, attraverso una serie di video in 3D e di prestiti artistici, fece ottenere a quel cartonato sagomato un’identità a sé stante, un nome (Annlee) e una vita propria. Partendo dal passaggio di copyright, l’opera di Pierre Huyghe e Parreno è da intendersi come una riflessione sull’identità individuale e sul suo annullamento provocato dall’industria dello spettacolo.

A questo punto lo spettatore si ritrova totalmente disorientato: non si sa più chi è cosa, e chi fa cosa. Siamo dinanzi all’opera d’arte nell’epoca della globalizzazione e della post-produzione, come affermato dal critico francese Nicolas Bourriaud. Ovvero assistiamo al risultato di manipolazioni che conferiscono all’opera d’arte un fondamento diverso, che si basa su una connaturata analisi – se non su una vera e propria posizione critica – dell’epoca dell’iper-informazione, e quindi intrinsecamente di disinformazione.

Un secolo fa le provocazioni di Duchamp hanno rappresentato un attacco sarcastico all’arte alta quanto alla cultura di massa, mentre questa più recente tendenza artistica, di cui Pierre Huyghe è un componente di spicco, è uno spazio di manipolazione per la riappropriazione del vero, uno spazio di approfondimento e di condivisione sociale, dove prendere parte ad un’esperienza ludica e spesso quasi psicoterapeutica.

Focus sull’artista a cura di Annarita Cavaliere

Pierre Huyghe, come molti artisti del “contemporaneo”, preleva dal cinema il linguaggio per trasformarlo in un oggetto, in una materialità su cui costruire e modellare l’opera d’arte finale, che spesso culmina in un’installazione. Figli del ‘900, gli artisti in questione vogliono discernere la grammatica dalla semantica, per riformulare e portare ad un senso nuovo della cultura e dell’arte. Il cinema rappresenta la sfida più affascinante, lo scoglio da arginare e con cui attualizzare la logica dell’arte contemporanea. In tale prospettiva, il quadro non è in crisi, ma va ridipinto con tecniche e colori diversi; così come la scultura, che non è atemporale, ma merita di essere ricollocata, riplasmata.

L’Ellipse, del 1998, è un esperimento artistico di Pierre Huyghe che si inserisce pienamente nel rapporto, complesso eppure catalizzante, tra arte contemporanea e cinema, mettendo al centro della ricerca la componente che unisce le due dimensioni: il tempo.

Il tempo della scultura o del quadro si estendono nel tempo dell’installazione, allo stesso modo in cui il tempo del racconto e il tempo della narrazione convivono nella dialettica del montaggio ellittico.

La riformulazione artistica di Huyghe, nell’installazione Ellipse tratta da Der amerikanische Freund (1977; L’amico americano) di Wim Wenders, analizza il montaggio ellittico per creare una sintesi narrativa che pone lo spettatore nella condizione di fruire un film, ossia il mezzo con cui si narra per comunicare con una certa finalità e funzionalità.

pierre huyghe

Pierre Huyghe, per estremizzare il linguaggio cinematografico e quindi per impossessarsi della materialità su cui “poggiare” (metaforicamente) la sua scultura o il suo pennello, preleva il tempo della narrazione dal film di Wenders e lo estende a tempo del racconto. L’artista si sofferma sul tragitto del protagonista, B. Ganz, mentre attraversa quotidianamente un ponte. Il montaggio ellittico è la scrittura con cui si dichiara, alla maniera del cinema, l’azione e il contenuto. Portando in “scena” il tempo “realistico”, Pierre Huyghe cerca di annullare il montaggio spazio-temporale per soffermarsi sul percorso.

In una proiezione simultanea di tre scene filmate, è come ricordare Napoléon di Abel Gance con un piede nel futuro: l’archivio è, così, memoria che si trasforma.

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