Primo Levi: il viaggio nell’inferno dei campi di sterminio

“Se questo è un uomo” è l’opera senza tempo del chimico torinese, ormai un classico della letteratura contemporanea

Primo Levi nacque a Torino nel 1919 e nel 1943 venne arrestato dai fascisti in Valle D’Aosta in quanto ebreo. Dopo esser sopravvissuto ai campi di sterminio tornò in Italia con un solo obiettivo: raccontare le atrocità dei Lager. “Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso”.

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L’eco doloroso di queste parole accompagna tutta l’opera, in un viaggio intenso attraverso l’esperienza disumana dell’autore. La testimonianza di un incubo nel quale tanti suoi compagni sono morti, ma lui, è sopravvissuto.

È necessario fare delle pause, fermarsi a riflettere ed immaginare cosa volesse dire davvero perdere ogni cosa. Resistere in un mondo senza umanità. Oltre il confine di quel filo spinato dove termini come «bene» e «male, «giusto» e «ingiusto», perdevano totalmente di significato. Il racconto è portato avanti da Levi come un lungo viaggio negli inferi danteschi ed un elemento fa da padrone in tutta la narrazione: l’orrenda e lacerante verità dei campi di sterminio.

Durante il viaggio un soldato tedesco raffigura il nocchiero Caronte, all’arrivo la frase “il lavoro rende liberi” indica la porta d’ingresso del mondo dei dannati. Mentre l’infermeria chiamata Ka-be, dove Levi passerà giorni di tregua fisica, è un limbo in cui poter evadere. Questi è tanti altri metaforici riferimenti letterari danno anima anche al dolore più atroce.

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“I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l’avvenire di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.” Con queste parole Levi descrive l’emblematico e profondo ricordo di un passato ormai perduto. Una normalità che non spera di poter riconquistare.

Levi distingue due categorie di persone nel Lager: i salvati e i sommersi. I salvati, come lui, con il loro tormento morale proseguono il cammino della vita. Chi muore, invece, lo fa in un’opaca intima solitudine che non lascia traccia nella memoria di nessuno, e questi sono i sommersi.

Levi nonostante la sua sorte benevola non smetterà mai di sentirsi un sommerso. Ma è soprattutto un uomo che ha deciso di raccontare la memoria di quei giorni con la forza della testimonianza. Parlando senza odio e rancore, raccontando la verità che sta al di là di ogni giudizio. Una storia di resistenza personale dalla quale apprendere per poter ridare significato e splendore al valore della civiltà.

 

Attilio Senatore

Studente di Giurisprudenza presso l'università degli Studi di Salerno e autore di una raccolta di poesie dal titolo "Non è tardi per sognare".

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