Ratched: Ryan Murphy e l’universo narrativo allargato

Con Ratched, Ryan Murphy allarga i suoi orizzonti seriali con un’origin story inquietante. Ma non debella i difetti già presenti in AHS

Ormai, è una sorta di Re Mida delle produzioni seriali. Ryan Murphy è diventato una fiocina impressionante di prodotti televisivi nel corso degli anni. Giusto per farsene un’idea, basti dire che, durante l’ultimo decennio appena trascorso, il regista ha sfornato ben undici serie TV. Una mole produttiva a dir poco impressionante. Durante gli ultimi anni, però, si è legato sempre più insistentemente, con cui ha prodotto e diffuso la sua ultima creazione per Netflix, vale a dire Ratched.

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Come già il titolo può far capire, la serie TV è direttamente tratta dal celebre romanzo Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo, firmato da Ken Kesey. Da esso, fu tratto un film nel 1975, girato da Miloš Forman, che fu un vero e proprio successo, tanto da vincere ben cinque premi Oscar. Ora, al fianco di Evan Romansky, co-produttore ed ideatore della serie, Ryan Murphy tenta di replicare il successo già ottenuto con American Horror Story e Glee. La serie TV tratta dal libro di Kesey non è però antologica, ma si focalizza in particolare sul profilo dell’infermiera Mildred Ratched.

Quest’ultima, nel film di Forman, era caporeparto all’ospedale psichiatrico di stato di Salem. Qui, invece, la troviamo come una novella infermiera che è ancora agli inizi della sua carriera. Manco a dirlo, Murphy continua il suo sodalizio con Sarah Paulson, e la sceglie per interpretare uno dei villain più famosi della storia del cinema in questa specie di “origin story”. L’operazione sarà riuscita? Scopriamolo.

L’infermiera e la guerra

La trama di Ratched è tutta da scoprire e da narrare, ma ha davvero molti punti interessanti, anche dal punto di vista storico. Il titolo non è altro che il cognome di Mildred (Sarah Paulson), infermiera che, nel 1947, arriva nel Nord della California per cercare lavoro all’ospedale psichiatrico di Lucia. Qui, il dottor Richard Hanover (Jon Jon Briones), uomo stimato nel campo della medicina, ma abbastanza sfuggente, sperimenta terapie allavanguardia per curare i disturbi della mente umana.

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Dopo un breve colloquio, Mildred riesce a farsi assumere come infermiera dallo stesso dottore. Ratched, però, ha un misterioso piano da portare avanti ed è determinata a far fronte ad ogni ostacolo; si presenta come l’immagine dell’infermiera perfetta, devota, che si dedica anima e corpo alla cura dei suoi pazienti.

Sotto una scorza praticamente impeccabile e gentile, dunque, si nasconde una mente contorta e disturbata, pregna di un passato carico di ombre. E quindi, la donna inizierà il suo percorso alla clinica, dove dovrà stare attenta a non rivelare i suoi oscuri segreti e a continuare la sua “permanenza” senza destare sospetti.

L’universo narrativo di Ryan Murphy

La prima cosa che ci viene in mente, una volta cominciata la visione di Ratched, è naturalmente il mood classico di Ryan Murphy. Suspense, dramma e un pizzico di terrore la fanno da padrone su tutto. Questo anche grazie allo stesso Murphy, che cerca di padroneggiare la materia nel modo più chiaro possibile, costruendo una sceneggiatura molto intelligente e sfaccettata. Il suo pregio è quello di costruire ottimi profili psicologici.

Ma è sull’aspetto tecnico che Ratched alza il suo tasso qualitativo. Murphy infatti sfoggia un lavoro meticoloso, attento e preciso sulle scenografie e i costumi, che si presentano eleganti ed esteticamente splendide. L’impressione è che il regista segua la scia d’estetismo patinato (talvolta eccessivamente) che ha caratterizzato la sua ultima produzione, Hollywood. La fotografia gioca molto su colori vividi e cangianti, che richiamano anche sfumature di simbolismo mai banali. Un esempio palpabile è l’utilizzo della luce verde ogni qualvolta un personaggio prova un sentimento iracondo.

Molto intelligente anche il lavoro registico che il creatore di American Horror Story incorpora negli espedienti narrativi. Dal doppio piano in alcuni momenti della serie, che agevola l’introduzione della meta-narrazione (come le marionette nella sesta puntata), fino a lenti movimenti di macchina (soprattutto long take) che accrescono la tensione e la portano ai suoi massimi livelli.

In più, inutile dire che anche Sarah Paulson, nei panni dell’infermiera Ratched, sviluppa una magnifica interpretazione. La musa di Murphy mette in scena ottimamente le emozioni confuse e la lucidità (allo stesso tempo) della protagonista, garantendo ottima drammaticità e importanti svolte variopinte al suo umore. Altrettanto da evidenziare il lavoro del resto del cast, con una Sharon Stone incredibile sopra gli scudi.

Il “trash” come marchio di fabbrica

Se, però, c’è qualcosa che nelle produzioni di Ryan Murphy non manca mai, è soprattutto la sua esasperazione drammatica. Anche in Ratched, in molte situazioni le vicende sfociano in situazioni “camp”, al limite del trash, in cui ogni tratto caratteriale o sfumatura che sia viene pesantemente accentuata. C’è da dire, però, che il tutto fa parte della cifra stilistica di Murphy stesso. Quindi, come si suol dire, prendere o lasciare.

Lo stesso autore, peraltro, dimostra di inciampare ancora e ancora nei suoi soliti “difetti di fabbrica“. Infatti, anche nel caso di Ratched, vi sono personaggi con un potenziale molto ampio che vanno a sacrificarsi sul campo dell’evoluzione personalistica e dell’introspezione. Il tutto porta poi ad avere delle vere e proprie “pedine” (è il caso di una Sharon Stone poco sfruttata sebbene in forma, ma anche di un Vincent D’Onofrio davvero troppo in ombra per la sua mole recitativa) con poco approfondimento psicologico.

La loro descrizione resta prigioniera di dinamiche da soap opera. Dunque l’impressione è quella che, sotto un vestito davvero pregevole, si nasconda poco o nulla. Senza contare che lo stesso Murphy si perde in un bicchier d’acqua e sacrifica il vero obiettivo della serie (ovvero indagare su un’America fondata su manipolazione e violenza) sull’altare della forma. E questa è la sua più grande spada di Damocle, da sempre.

Antonio Jr. Orrico

Studente al terzo anno di Scienze della Comunicazione, con una passione innata per il giornalismo, per la scrittura, per la lettura e per la musica.

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