11 Gennaio 2019 - 14:16

Referendum propositivo: l’inutile riforma per le leggi d’iniziativa popolare

Referendum, governo

La riforma del referendum propositivo senza quorum ha catalizzato l’attenzione. Ad essere toccati, saranno le leggi e l’Istituto dell’iniziativa popolare

Troppo tempo ha vagato nell’oscurità. Ora, finalmente, dopo tanto penare, il referendum propositivo senza quorum sembra proiettato verso la luce. Infatti, il Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta di revisione della legge allettante anche per le opposizioni.

Non ci sarà nessun quorum partecipativo, come già detto poc’anzi. Nel referendum propositivo, la quota minima sarà approvativa, e verrà istituita al 25% con eventuale ballottaggio. La cosa singolare è che, a proporre questa nuova soluzione, è stato proprio il PD, con il benestare del Movimento 5 Stelle. L’avversario di una vita, dunque, tende una mano al Governo e collabora con la parte più “progressista” e democratica del Parlamento.

Analoga soluzione dovrebbe rivitalizzare l’istituto delle proposte di legge di iniziativa popolare rendendone obbligatoria la calendarizzazione e la discussione entro 18 mesi. Quest’ultimo punto era già incluso nel contratto di Governo. Qualcosa si era già mosso lo scorso anno per merito dell’allora presidente del Senato Pietro Grasso, che aveva previsto tempi molto più stretti per l’esame in Commissione (tre mesi).

Purtroppo, però, a rovinare il tutto è stato l’altro ramo del Parlamento, la Camera, che si è rivelata una vera e propria forza asimmetrica. Laura Boldrini, infatti, non portò avanti l’iniziativa, che quindi rimase ostaggio dei partiti come sempre. Il dato più sconcertante, però, è un altro.

Dal 1979 alla fine della scorsa legislatura, sono state presentate 262 proposte di legge di iniziativa popolare. Stando a quanto indicano i dati, solo 3 di queste sono diventate leggi. Un numero a dir poco incredibile, se si pensa alla mole di lavoro sprecata nei confronti di leggi davvero impopolari (pensiamo alla “finanziaria” indetta da Bettino Craxi) o fatte davvero male (il pensiero va al Jobs Act del caro Matteo Renzi).

Il problema, però, è un altro. Le leggi discusse dal Parlamento non sembrano, infatti, così “popolari”.

La cara “illeggittima” difesa

Sì, si sta parlando, in queste ore, proprio di includere, nei meandri delle leggi d’iniziativa popolare, anche la legittima difesa. Non a caso, infatti, la legge non ha ancora passato il vaglio della Camera, ed è ancora in sospeso dopo quasi tre mesi dall’approvazione del Senato.

Il punto è che non può essere definita “popolare” una legge che mira a far diventare l’Italia come il Far West dell’800 della cara America. Il principio giustizialista che si cela dietro questo balordo provvedimento previsto dalla Lega è qualcosa che nemmeno George Orwell avrebbe potuto prevedere. Si rischia di tornare agli anni ’70, anni terribili per la storia italiana, gli anni di piombo dove ognuno poteva fare ciò che voleva ed era anche quasi legittimato.

Uno dei rischi più assurdi, dunque, è che una legge che ancora non è stata approvata per via di seri controlli sulla propria costituzionalità possa essere approvata in un batter d’occhio. E questo, in un paese democratico e che si professa civile quale l’Italia, non va affatto bene. Il vero problema è che, a farla da padrone anche sulle leggi d’iniziativa popolare, sono comunque i partiti.

Ciò crea un controsenso clamoroso, se si pensa che queste leggi dovrebbero fungere proprio da collante (l’ennesimo) tra la popolazione e la politica delle sfere alte. Paradossalmente, però, rischia di allontanarli ulteriormente o (peggio) di creare ancora più caos in un Paese allo sbando totale. La logica della democrazia diretta, dunque, è sì applicabile, ma non in un modo così subdolo e becero come quello pensato dal Governo.

Il cittadino è capace di decidere?

Proprio questo ci porta ad un altro problema fondamentale che porta con sé il referendum propositivo. Ed è un problema semplice nella dicitura, ma davvero molto complesso nei risvolti sociali: l’educazione civica. Naturalmente, a decidere delle sorti delle leggi d’iniziativa popolare, basandosi sul disegno, dovrebbero essere i cittadini. Ma siamo davvero sicuri che gli stessi italiani siano capaci di decidere coscientemente e civilmente?

L’esempio più palese lo abbiamo avuto con le elezioni passate. Elezioni in cui, alla fine, nessun partito/coalizione ha trionfato, per via dei voti troppo dispersi tra i vari partiti e tra le varie realtà differenti della politica italiana. Solo un’alleanza di Governo ha permesso all’Italia di salvarsi da quella rovina chiamata “Governo tecnico“.

Come se non bastasse, a causare ancora più disagi sono intervenuti, a gamba tesa, i social network. Una grande macchina che la politica può usare a proprio piacere per stravolgere la realtà e indurre i cittadini a credere alle proprie parole. I destinatari sono proprio quei cittadini “deboli”, capaci di farsi abbindolare da semplici strategie di comunicazione vecchie anche di 80 anni. Perché? Semplice, perché a questi ultimi risulta più facile seguire una “scia“, un elemento trascinatore, che essere un vero e proprio libero pensatore.

E qui sorge un altro problema: la cultura. Insomma, se il popolo italiano è il più dissociato dalla realtà dell’intero mondo, secondo dei sondaggi IPSOS, un motivo ci sarà. E quel motivo risiede tutto nell’ignoranza e nella inadeguatezza delle norme sociali dei cittadini di un Paese troppo impegnati sulle cose frivole.

Siamo sicuri, dunque, che il referendum propositivo sia una soluzione adeguata? Che la democrazia diretta, al giorno d’oggi, sia applicabile e sia un buon provvedimento? Tutti quanti vorremmo che sia così. Ma i dati parlano chiaro, e dicono l’esatto opposto.