Chi ha incontrato anche solo una volta Carmen Pellegrino, probabilmente nel corso della presentazione di uno dei suoi libri, sa che si tratta di una ragazza delicata, semplice ma forte di qualcosa che ha dentro e che non è di fattura comune. Carmen Pellegrino ha qualcosa nelle dita che le sta permettendo di farsi strada un passo alla volta nelle librerie più importanti d’Italia. “Se mi tornassi questa sera accanto” è il suo secondo romanzo dopo “Cade la terra”.
La prima cosa che colpisce è il titolo: incipit della poesia “A mio padre” di Alfonso Gatto, non è per niente casuale. La storia è bipartita tra “Di qua dalle mura” e “Di là dalle mura”. E nel corso di tutta la trama sembra davvero esserci una ripartizione netta tra i personaggi principali, soprattutto fra Lulù e suo padre Giosuè che trascorre un importante numero di anni a cercare di decidere per lei anche quando, di fatto, non fa nulla per indirizzarla verso quello che lui desidera. Lulù è la protagonista di un piano che ha pensato a lungo con la dedizione che caratterizza gli uomini disperati. Tutto quello che davvero collega i due è il fiume che scorre e viene considerato fonte di rinascita. Ciò che i protagonisti non calcolano è che l’acqua spinge in avanti, non si guarda alle spalle e per portare Lulù finalmente al suo fianco, Giosuè le scrive lunghe lettere, convinto che le parole possano afferrarla per le spalle e convincerla a restare ferma dove tutto è iniziato per conoscere per la prima vera volta l’uomo che l’ha cresciuta.
Scorre l’acqua e scorrono le parole ed è forse questa la cosa più bella del romanzo: non tutte le parole hanno l’urgenza di finire da qualche parte. Non tutti i fiumi corrono per sfociare nel mare. Alcune volte serve gente che aggiusti i pensieri, come desiderava proprio Lulù negli anni della sua infanzia, provocando quasi lo sdegno del padre che poi sembra capire ed inizia a fare la cosa più “inutile”, importante e bella di questo mondo: scrivere a qualcuno, per riparare o per peccare ancora di egoismo e cercare di aggiustarsi.
Si alternano lettere e narrazioni della storia di padre e figlia con una delicatezza e una maestria che capita raramente di incontrare in un momento in cui i libri, se non hanno alla base una trama complessa e piena di colpi di scena da sussulto, non sembrano attirare lettori e case editrici. La Pellegrino scrive per il piacere e la bellezza che risiede nel gesto prima che per raccontare una storia che incolli alle pagine e paradossalmente, questo suo talento libero da briglie e genuino richiama l’attenzione di chi legge più di qualsiasi altra saga al cardiopalma.
Quello che forse manca a questo libro è esperienza, che nonostante l’evidente talento, è un fattore fondamentale per rendere davvero un libro vivo. C’è l’anima, c’è l’idea, forse c’è qualche tentennamento sul come realizzarla al meglio, ma manca la visione d’insieme di chi sa dove sta andando e la cosa ha dei risvolti positivi già accennati, ma può trasformarsi in un’arma da taglio che già per il terzo romanzo potrebbe segnare il volo o la caduta di un’autrice che comunque ha la stoffa, ma che forse ha bisogno di portare i suoi occhi fuori dalla finestra.
Il 5 e 6 dicembre a Salerno, presso la sede di via Clark della Camera…
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