Sopra la neve del monte Romito in ciaspole

Ammaliati dalla neve del monte Romito, affrontiamo i sensi di colpa nascosti sotto strati di panettoni e cotechino e prendiamo finalmente le ciaspole per iniziare l’anno con una preghiera. Il santuario sulla cima imbiancata ci aspetta.

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Quella delle ciaspole è una storia antica, che risale a circa 600 anni fa, quando cacciatori e contadini avanzavano nei paesaggi innevati con ai piedi racchette tonde fatte di legno e lacci di cuoio intrecciati.

Una storia che a noi piace molto e che continuiamo, con modelli più comodi e leggeri, ogni volta che il cielo ci fa il dono della neve.

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Si perché la neve è un dono, mai scontata, sempre labile, fugace e soprattutto magica, capace ancora di suscitare in noi il sentimento della meraviglia e dello stupore.

La neve è candida e non perché sia bianca, ma perché è in grado di purificare i nostri pensieri. Essa rende belle ed uguali tutte le cose che “incontra”.

Per questo con la prima neve la natura acquista uno dei suoi abiti migliori, perché non sappiamo mai cosa si cela sotto il manto nevoso.

Si posa sui rami, ammanta le cortecce, copre i buchi e nasconde i tronchi secchi. Sembra manto, o tovaglia, appare panna o nuvola compatta.

E noi oggi abbiamo goduto di questa neve, affondando per quasi 10 km i piedi tra le “stoffe” del monte Romito, sui monti della Maddalena, al confine tra Campania e Basilicata, nella parte più a ovest dell’Appennino lucano che si estende fino al territorio di Salerno e comprende il promontorio del Cilento.

Dopo aver percorso la “strada dei prigionieri” da Padula a Paterno, antica via carrozzabile, realizzata dai prigionieri cecoslovacchi durante gli anni di detenzione nemica nella I guerra mondiale, arriviamo alla piana di Mandrano a 1060 m di altezza.

Ma noi siamo tutt’altro che prigionieri: una strada sterrata completamente innevata ci offre un cammino tra radure di faggi, pini neri e fontane d’acqua muta che come la neve “non fanno rumore”.

L’acqua sorgiva cade nelle vaschette sottostanti e diventa ghiaccio. Nelle lastre appena formate possiamo vedere riflessi i rami che al primo colpo di vento ci fanno cadere addosso tutta quella polvere bianca.

Poco il dislivello, dolce la pendenza, sono tutti in letargo. La neve c’impone il silenzio delle cose. Ancora una volta un elemento della natura ci permette di isolarci dal caos della quotidianità e di concedere tempo a noi stessi, un lusso che ci fa guardare dentro e ci accorda con i nostri pensieri.

Se è così, c’è qualcosa di sacro ed intimo nella visione dei paesaggi innevati.

È tra i tronchi bianchi degli alberi e i percorsi fiabeschi che avviene il nostro lungo pellegrinaggio, quello che ci porterà a non raggiungere mai la cima con il suo santuario, ma a sentirci un tutt’uno con gli “dei della terra”, quelli nascosti nei rami e sotto la terra coperta.

Profaniamo allora la madonna del Romito rendendo sacro tutto ciò che oggi abbiamo vissuto: la lotta delle palle di neve, la pipi all’aria fresca, la visione improvvisa dei paesaggi della vallata, le cadute libere, le confessioni aperte.

Il senso di leggerezza e la sensazione di una gioia semplice che c’investono durante le “escursioni bianche” sono la prova di un Dio della Natura che non si nasconde nei santuari e non aspetta di essere raggiunto, ma che è attorno a noi ed è visibile ogni giorno senza farci attendere l’eternità.

Il nostro ritorno alla terra promessa non ha come meta il Paradiso, ma la “terra del qui e dell’ora”, che si lascia svelare ad ogni colpo di ciaspola.

Sono percorsi che portano allo stesso fine ma il nostro, è sempre possibile.

Neve del monte Romito

La neve pose una tovaglia silenziosa su tutto.
Non si sente se non ciò che accade dentro casa.
Mi avvolgo in una coperta e non penso neppure a pensare.
Sento un piacere d’animale e vagamente penso,
e m’addormento senza minor utilità
di tutte le azioni del mondo”

(Fernando Pessoa, Un’affollata solitudine)

Redazione ZON

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