Split, il ritorno di Shyamalan consacrato da McAvoy
Split dovrebbe essere il film di rilancio per M. Night Shyamalan, il regista de Il sesto senso: la storia, ispirata aleatoriamente a fatti realmente accaduti, si sviluppa intorno alle 23 personalità di Kevin Wendell Crumb, nell’eccellente impersonificazione di James McAvoy, sui cui si regge l’intero film
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Split, il nuovo film di Manoj Night Shyamalan, è in parte un thriller psicologico, in parte un horror, sul disturbo dissociativo dell’identità di Kevin Wendell Crumb: il titolo allude a questa “scissione, divisione, frattura”. Infatti si parla di 23 personalità, sebbene nel film ne emergano solo alcune: ma la storia è l’affermazione in divenire di una ventiquattresima personalità, dominante e sovrumana, La Bestia. Ovviamente è quella più psicotica, il superuomo, che rappresenta la nemesi stessa di Kevin Wendell Crumb.
Le premesse reali della storia sono vagamente ispirate a quella di Billy Milligan, un uomo con personalità multipla, che negli anni Settanta rapì e stuprò delle studentesse universitarie, per poi essere assolto per infermità mentale.
Il rilancio di M. Night Shyamalan (memorabile in Ad occhi aperti del 1998 e in Il Sesto Senso del 1999), che con Split ritrova almeno parzialmente la sua verve iniziale, riparte da una piccola produzione e una sceneggiatura a tratti debole narrativamente e con grosse lacune di pathos, ma potendo contare sulla magistrale prestazione di un grande attore ed un’interessante pretesto concettuale: la sofferenza è il principio evolutivo delle potenzialità umane.
Le straordinarie doti di trasformismo somatico e linguistico di McAvoy, si manifestano nel logorroico stilista gay Barry, guardiano deposto delle altre personalità, come nel muscoloso e ossessivo-compulsivo Dennis, difensore di Crumb e autore del rapimento; nell’ingenuità infantile di Hedwig quanto nel fanatismo religioso di Patricia, passando per la fragilità di Kevin e il delirio di onnipotenza della Bestia.
Dennis, con le sue tentazioni sessuali, e Patricia, con il suo conformismo e la mania di controllo, sono i due “lord” – come vengono definiti in maniera denigratoria dalle altre personalità – traghettati dal corruttibile Hedwig: sono i profeti e i fautori della venuta di un essere cannibale e inarrestabile, La Bestia, ovvero la personalità che promette la liberazione di Kevin dal suo “vittimismo” esistenziale.
Kevin è il protagonista eppure fa solo una breve comparsa nel mostrarsi spaventato dalle violente espressioni della sua psiche: vittima di abusi infantili è un individuo alterato da personalità in espansione, che tentano di proteggerlo dal ricordo e dal dolore del passato, ma anche tormentato dalla loro lotta interna per il sopravvento.
La Bestia, la sua ventiquattresima personalità, è la manifestazione del suo annientamento, della sua stessa soppressione: ormai avendo il potere totale sulle altre e credendo fermamente di essere un’entità superiore, lo diventa, rigenerandosi in un essere del futuro, che non teme più niente e nessuno, neanche la morte.
Come nei film migliori del regista indiano c’è un climax di episodi finali che questa volta però non ribaltano del tutto le convinzioni iniziali. In Split, infatti, il recondito che accomuna una delle rapite, Casey, a Kevin è prevedibile, come diventa prevedibile che sarà un aspetto per lei salvifico, a dispetto della sorte altrui.
La Bestia diventa così la chiave di volta della storia, esplicitando il presunto arcano; per poi arrivare al primo piano finale su Casey, in cui si intuisce un cambiamento di direzione, esterna al tempo stesso della narrazione del film, che potrebbe far ipotizzare anche un sequel.
L’unica scena davvero inaspettata è nel finale, in cui il regista indiano strizza l’occhio al suo pubblico con un cameo autocitazionista: così l’apparizione di Bruce Willis mette in stretta connessione Split con Unbreakable-Il predestinato del 2000.
In definitiva a funzionare decisamente meno in Split è la didascalica e propagandistica presentazione del disturbo psicotico di Kevin da parte della psicologa Fletcher (Betty Buckley, la Miss Collins di Carrie) che lo associa ad uno stadio dell’evoluzione umana, alla possibilità cioè di sbloccare potenzialità ancora inespresse dell’intelletto umano. Anche questa volta quindi la pseudo-scienza, come nei precedenti di E venne il giorno del 2008 e After Earth del 2013, affianca il classico scenario soprannaturale.
Ma Split rimane essenzialmente un thriller claustrofobico, dalle inquadrature di spazi ristretti, che tolgono aria alla scena, sotterranea e in penombra. E in tal senso la fotografia di Mike Gioulakis, non erudita ma densa di virulenta segregazione, contribuisce a rendere visibile e palpabile l’alterazione e il labirinto mentale di Crumb.
Nel finale, però, all’aura pessimista si sostituisce l’utopica teoria che la sofferenza possa generare grandi potenzialità, non solo per garantirsi la sopravvivenza, ma anche per l’evoluzione di un’umanità migliore. Un’utopia appunto, una visione onirica e futuristica firmata M. Night Shyamalan.
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