Sport

Un Tedesco italiano alla conquista di Lipsia: i perché di una scelta perfetta

Si cambia spartito nella città della musica: il Red Bull Lipsia si affida a Giovanni Tedesco per ribaltare le sorti di questa stagione

Per un calcio italiano ancora fortemente ancorato a mentalità anacronistiche e logiche meritocratiche quasi del tutto assenti, esiste una controparte tedesca i cui meriti vanno anche oggi rimarcati. Con la nomina a nuovo tecnico della prima squadra di Giovanni Tedesco, il Red Bull Lipsia dimostra anche in questa circostanza di possedere gli strumenti tecnici e dirigenziali per portare avanti un progetto longevo e finanziariamente sostenibile.

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Perchè Tedesco?

I meno attenti tra i nostri lettori potrebbero esser stati sorpresi dalla scelta della dirigenza dei Tori Rossi di Lipsia: a sostituire Jessie Marsch, reduce da due campionati vinti con il Salisburgo ma un inizio di Bundesliga tutt’altro che convincente, è stato chiamato un uomo nato in Calabria ma che in Italia, calcisticamente, non ha mai avuto modo di competere.

La stragrande maggioranza di panchine della sua giovane carriera, ricordiamo che Tedesco è un classe ’85, le ha raccolte in Germania, prima nei vivai di Stoccarda e Hoffeinheim, e poi alla guida di Erzgebirge Au e il ben più blasonato Schalke 04.

Una patria adottiva che ha saputo consacrare passione e dedizione di un ragazzo nato in Italia, ma cresciuto calcisticamente in Germania a tal punto da approdare ora al Lipsia, tra le forze sportive più interessanti del panorama europeo e mondiale.

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La scelta di un tecnico come Giovanni Tedesco rientra in quadro di coerenza tecnica a cui la dirigenza dei biancorossi ha fatto affidamento con successo negli ultimi anni. Il Lipsia è la stessa squadra, infatti, ad aver consacrato Julian Nagelsmann, vero e proprio “enfant prodige” della panchina; e non è un caso che dopo la debacle Marsch, altra testa pensante e da non catalogare come fallimentare, i Tori Rossi abbiano interpellato un allenatore giovane, conoscitore del sistema calcistico tedesco, e soprattutto coerente con la propositività del football impiantato a Lipsia.

Coraggio e un pizzico di spregiudicatezza che animano un dibattito che ancora oggi fatica a far presa in Italia.

Mentalità o anacronismo burocratico: il dilemma Italia

Chiunque abbia voglia di raggiungere i campi più prestigiosi del calcio italiano dovrà fare i conti con due capisaldi fondamentali: l‘età e il proprio passato da calciatore. Se troppo giovane, sotto i 32 anni, o mai veramente attivo su un campo da calcio, le speranze di un ragazzo di intraprendere la carriera da allenatore sono ridotte ai minimi termini.

Non esistono i Julian Nagelsmann o i Giovanni Tedesco in Italia, semplicemente perché non esiste un sistema che valorizzi e accresca la cultura calcistica attraverso canali di merito è che favorisca l’inserimento all’interno della piramide federale italiana.

Mentre in Germania spopolano le Accademie, nel Belpaese talenti come Francesco Farioli si rifugiano in Turchia per avere la possibilità di attuare le proprie idee di calcio in un contesto non stagnante e aperto a idee più giovani e strutturate.

Pietro Marchesano

Mi chiamo Pietro, ho 24 anni e studio Lingue e Letterature Moderne all'Università di Salerno. Sempre con la testa in giro per il mondo, scrivo di cronaca, cultura e sport. Divoro film come partite di pallone.

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