28 Settembre 2017 - 10:28

The Beguiled, L’Inganno: recensione del film “non di genere” di Sofia Coppola

Sofia Coppola torna sullo schermo dopo quattro anni da “The Bling Ring” con “The Beguiled”

In piena Guerra di Secessione, nel profondo Sud, le donne di diverse età che sono rimaste in un internato per ragazze di buona famiglia, danno ricovero ad un soldato ferito. Dopo averlo curato e rifocillato costui resta confinato nella sua camera attraendo però, in vario modo e misura, l’attenzione di tutte. In “The Beguiled” la tensione aumenterà mutando profondamente i rapporto tra loro e l’ospite.

Tempo fa, quando vinse il Leone d’oro per Somewhere (2010), ci si chiedeva se Sofia Coppola fosse adagiata sugli allori grazie alla carriera di suo padre, il Francis che è anche padre putativo del cinema dagli anni Sessanta in poi e che, il suo fosse un cinema schiavo di alcune borie intellettuali. A distanza di anni, e dopo “The Bling Ring” (2013), Sofia Coppola torna con “The Beguiled”, storia di un collegio femminile ultra-cristiano e di un’intrusione maschile, un soldato disertore con la giubba blu arrivato dritto dalla guerra di Secessione americana.

Nel 1971 “La notte brava del soldato Jonathan” di Don Siegal, prima trasposizione cinematografica di “The Beguiled”, fu un piccolo capolavoro con Clint Eastwood scaduto nel flop di incassi più totale (una visione molto più fedele al libro, un southern gothic, che vive del duro rapporto tra pulsione e fede, tra seduzione e redenzione). Oggi Sofia Coppola riporta quello stesso libro sullo schermo, con un cambio di prospettiva, con un’osservazione tutta femminile, con uno sguardo sempre più coerente e sempre meno elitario, raccontando sempre le sue donne incastrate in epoche diverse e in spazi diversi in cui l’unica contemporaneità è la libertà della propria sessualità, oscena per chi vorrebbe annientarla, sostanza incandescente per chi vorrebbe fuggire da parametri, da empiriche.

Sofia Coppola, cinema “non di genere”

Non si perde mai, Coppola, nel femminismo “razzistoide” di cui è stata da sempre accusata. Parla di donne, come potrebbe parlare tranquillamente benissimo di uomini, non perché è donna ma perché ha una propensione tutta femminile alla sensibilità. Coppola non è dalla parte delle donne, non è neanche dalla parte degli uomini, non è dalla parte di nessuno. Anzi, qui, spostando la storia e la sua analisi sul mondo femminile (come non era stato fatto nel primo adattamento del libro dove tutto era sguardo maschile un po’ timoroso e un po’ maschilista), pudicamente procede nello sfaldare un’altra epoca, un’altra storia, un altro contesto, un’altra comunità.

Sfalda il bigottismo cristiano, gabbia delle coscienze castigate e schiavizzate nella purificazione sempre ricercata. Che poi alla Coppola interessi poco si sa di contestare i delitti compiuti dalla minacciosa educazione cristiana dei tempi, che prefigge evacuazioni e salvezza dal mondo terreno infestato dal peccato nell’ostinazione senza slanci dell’ammortizzazione del piacere. Ciò che interessa alla Coppola non è  tanto il perbenismo asessuato fallimentare che rende false salvezze, ma sono gli gli scatti, la violenza nei suoi particolari, mai strabordante, sempre raffinata, sempre femminile, mai sessista, concepita da quell’educazione, dal suo fallace compito.

Ecco allora che quella educazione inefficace diventa sovversione antagonista, spia erotica. Trastullazione mentale e fisica senza rimedio. Il piacere dell’indecente, dello sconosciuto, del perverso. Il rapporto di questo gruppo femminile in un interno con un maschio sarà questo: accattivato e accattivante.

The Beguiled è il capolavoro di Sofia Coppola

Sofia Coppola con il suo miglior film che è The Beguiled fa questo. Mette in scena silenziosamente la violenza della sessualità, valore assoluto che diventa pari a zero se strumentalizzata. Lo fa sapendo che la sessualità, quella di cui parla, non è mai paritaria. E’ difesa ed arma allo stesso tempo. Allora si creano fazioni, e il microcosmo diventa macrocosmo. Si inizia a parlare di culture diverse di sessi opposti senza comunicazione. Si inizia a parlare addirittura di antropologia: un discorso eterno perché ancora scomodamente attuale.

C’è machismo, fallocrazia, ironia. C’è, anche, civetteria, invidia e un slancio di caparbietà disillusa in unico branco tutto al femminile: purché tutti i branchi restino uniti, bisogna che tutte le passioni prendano slanci diversi pur restando orgogliosamente unanimi. Perché, capiamolo finalmente, Sofia Coppola non è femminista e questo non è un film di genere. E’ una che sa che il conflitto tra mondo maschile e mondo femminile ci sarà per sempre. Quello straccio nell’ultima inquadratura appeso al cancello allora è una lotta vinta per finta, persa già in partenza.