1° ottobre 1989, 43 donne, sul pianeta, partoriscono nello stesso istante. Nessuna di loro, prima del travaglio, era a conoscenza di avere una gravidanza: l’evento, tra il folle e il prodigioso, dona al ventre del mondo dei bambini dai poteri straordinari.
Così inizia The Umbrella Academy, la serie Netflix del momento, basata sull’omonimo fumetto di Gerard Way e ideata da Steve Backman. In seguito, Il miliardario Sir Reginald Hargreeves adotta sette neonati, insegnando loro a massimizzare l’impatto delle abilità che possiedono. Lo scopo è quello di radunare, nella fondazione Umbrella Academy, una squadra di supereroi, capaci di fare da parafulmine al crimine.
A causa della morte improvvisa (e sospetta) del padre, i fratelli ritornano nella loro casa di un tempo. Il gruppo è lacerato da antichi rancori e rimorsi (collettivi e individuali) e fatica quasi a stare sotto lo stesso tetto. L’estraneità che emerge, però, fa presto a convertirsi in energia e a canalizzarsi verso uno scopo condiviso: scoprire la verità.
Il primo dei sette è Luther, un astronauta dalla incredibile forza fisica; il secondo è Diego, un vigilante, abile nel lancio dei coltelli; la terza, Allison, un’attrice in grado di manipolare la mente; il quarto, Klaus, un tossicodipendente capace di parlare con i morti; il quinto, Numero 5, un bambino con la coscienza di un sessantenne che attraversa le linee temporali; il sesto, Ben, morto in circostanze poco chiare; infine, Vanya.
Vanya (Ellen Page) è cresciuta in una bolla di emarginazione. Ora, si porta addosso i sintomi di un’infanzia segnata dall’abbandono e dalla mancanza di poteri. L’unico appiglio, nel grigiore, è il suo violino: in esso la ragazza ha proiettato una latente creatività, investendo nella musica un potenziale altrove inespresso. Anzi, sigillato.
Se, come dice Nietzsche, “l’uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo“, quella di Vanya si è spezzata e non sa più che da parte pendere. Il baricentro emotivo non ha più un suo equilibrio, in lei: cosa siamo, senza controllo?, viene da chiedersi. Ma vale anche il contrario: cosa siamo, e chi siamo, se chiudiamo sotto chiave i nostri istinti più vitali?
I protagonisti appartengono alla singolare categoria di supereroi non convenzionali, bensì disfunzionali. La loro personalità, infatti, si è formata nel solco di problemi familiari e relazionali: hanno dovuto scontare, negli anni, la brutalità di un padre poco amorevole che, con sguardo clinico, li ha caricati di aspettative e responsabilità.
Ne deriva un background sfaccettato, ricco anche di debolezze. La lotta tra bene e male, centrale nei cinecomic, viene arricchita da una dimensione psicologica e umana. Altri punti forti sono le musiche, che accompagnano gli spettatori in una fitta rete di misteri, ed il cast, a dir poco eccezionale. Fra tutti, emerge il talento di Robert Sheehan, attore che interpreta l’eccentrico Klaus e che i più ricorderanno per il ruolo in Misfits.
Non ci resta che trattenere il fiato ed attendere la seconda stagione: il finale della prima, infatti, ci lascia aggrappare ad una speranza che vorremmo vedersi concretizzare.
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