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“Vivere”: il romanzo in pellicola di Francesca Archibugi

Dal sostrato freudiano che lo anima, alla leonessa Ramazzotti, passando per Marcello Fonte personaggio “morettiano”: ecco Vivere di Francesca Archibugi

Tratto dal racconto della stessa regista “Viaggio in Italia”, Vivere,  film di Francesca Archibugi presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia numero 76, sembra da subito spostare il punto di vista della narrazione consegnando il ruolo di narratore onnisciente a Perind (Marcello Fonte) vicino di casa della coppia protagonista, Susi (Micaela Ramazzotti) e Luca Attore (Adriano Giannini)

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Dalla sua finestra Perind, che a me ha ricordato nel suo rapportarsi al mondo esterno il Michele Apicella protagonista in Bianca di Nanni Moretti, assiste agli ordinari equilibrismi di una coppia contemporanea divisa tra le difficoltà economiche, una svolta lavorativa che non arriva mai e una figlia piccola, Lucilla, affetta da una grave forma di asma.

Il punto di rottura di questa asfissiante routine, la pagina ventuno della sceneggiatura scritta dalla stessa Archibugi con Francesco Piccolo e Paolo Virzì, è rappresentato da uno sguardo, seguito dalla presa di coscienza di Luca della propria infelicità che lo stesso, giornalista freelance dalla vita ristretta in un bilocale e seicento battute, crederà di poter sfamare intrattenendo una relazione parallela con Mary Ann (Roisin ‘O Donovan), giovane irlandese affascinata dall’Italia (e da Roma) come gli intellettuali dell’800 per i quali la Penisola era tappa obbligata del Grand Tour. Per la ragazza, che si occupa di Lucilla come ragazza alla pari, il viaggio in Italia sarà un progressivo percorso verso la disillusione.

La cinepresa di Francesca Archibugi scorre fluida, in maniera quasi letteraria quando si destreggia tra Luca e Susi, che nel frattempo avrà trovato qualcuno per cui esistere, qualcuno che la sente anche senza urlare nel dottor Marinoni (Massimo Ghini) un luminare che promette di curare l’affezione di Lucilla.

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Susi e le altre: il percorso di Micaela Ramazzotti

La signora Attorre è solo l’ultima delle madri-coraggio che negli anni sono state affidate alla generosità interpretativa di Micaela: ma se in film come La pazza gioia e Una Famiglia, il più grande atto di coraggio materno è lasciare andare i propri figli, la Susi di “Vivere” difende ciò che è suo come una leonessa, facendosi scudo di quella che lo spettatore crede sia ingenuità.

D’altronde Micaela in conferenza stampa a Venezia 76 ci aveva già messi in allarme: “Susi non è fragile, è fortissima”. E ne abbiamo la dimostrazione finale in una delle sequenze chiave del film  che ci porterà a rivalutare da una diversa prospettiva tutto il comportamento di Susi all’interno del film.

Ecco che quindi, quando Susi convince Mary Ann ad abortire era perché sapeva che il figlio che portava in grembo era di suo marito.

Quando Susi sul letto con suo marito gli prospetta la possibilità della separazione, è perché vuole sentirsi ancora più forte, vedere fino a che punto possa arrivare la codardia del marito (una buccia vuota, “la banana se l’è mangiata qualcun’altra) dal quale vuole continuamente marcare la differenza, la distanza: ecco perché il suo avvicinamento a Marinoni non arriverà mai a un punto di non ritorno.

Sostrato freudiano

Altro aspetto poi interessante in “Vivere” sono i rapporti tra genitori e figli che qui si reggono su una concezione oserei dire freudiana: tutte le fragilità dei personaggi del film sembrano infatti imputabili all’assenza o all’opprimente presenza della figura genitoriale: Susi è una madre apprensiva con Lucilla perché su di lei grava la spada di Damocle del senso di colpa: la madre dice che è colpa sua e del suo fumare in gravidanza se la piccola ha l’asma; Luca ha perso entrambi i genitori, quando era ancora troppo presto, a causa del cancro: è per questo che lui oggi cerca di soddisfare in ogni modo il bisogno di protezione che gli brucia dentro.

Ma il bello della scrittura filmica di Francesca Archibugi è che ogni personaggio ha le sue motivazioni, la sua vita che vale la pena vivere. E come in un romanzo ti chiedi quale sia il loro destino anche quando hai chiuso l’ultima pagina.

 

 

 

Riccardo Manfredelli

Lucano, laureato presso l'Università degli Studi di Salerno. Giornalista pubblicista dal 10 Agosto 2020; Mi piace più ascoltare che parlare, più fare che mostrare. Nutro una passione smodata per tutto ciò che è Pop, per tutto ciò che è spettacolo. Su Zon.it scrivo principalmente di Cinema e Tv.

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