Widows: la “vendetta” delle mogli e lo specchio dell’America

Il regista Steve McQueen torna all’opera dopo la nomina agli Oscar. Con Widows, stila una nuova forma di heist movie dalla spiccata drammaticità

Di rapine cinematografiche, sul grande schermo, ne abbiamo già viste e ne vedremo ancora tante. Ma di heist movie come Widows, nuovo capitolo della carriera cinematografica di Steve McQueen, non ne abbiamo praticamente mai visto nemmeno l’ombra.

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Prima di essere un regista, il premio Oscar è un artista. Per lui il cinema è davvero la settima arte, e ciò lo connota come uno dei pochi “maestri” a non essersi arresi ai blockbusters e a dare la propria impronta autoriale. A contornare la sua presenza, inoltre, vi è la presenza, alla sceneggiatura, di una scrittrice navigata come Gillian Flynn. Quest’ultima si è basata sull’omonima serie TV degli anni ’80 per scrivere la sua nuova opera.

Entrambi si misurano, per la prima volta, con una dimensione a loro quasi sconosciuta. Entrambi hanno una passione per il dramma (inteso nel senso più pieno della parola) e per il thriller. E la loro passione si avverte tutta in Widows, la cui spiccata riflessività riesce a far passare quasi in secondo piano la componente heist del film.

Di storture e rapine tra il raffazzonato e il brillante nel 2018 al cinema ne abbiamo viste parecchie (quasi tutte passano per Steven Soderbergh, il vero “re” del genere). Ma dalla sua la pellicola ha un regista degno di nota, una sceneggiatrice di tutto rispetto e un cast davvero incredibile.

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Riuscirà a diventare l’heist movie dell’anno? Lo scoprirete al termine del “viaggio”.

La vendetta del “girl power”

Eppure, la mano della Flynn si sente eccome. Le protagoniste di Widows sono estratte da ogni etnia, strato sociale e condizione economica e umana, mogli, madri, casalinghe e lavoratrici, agiate o costrette a lavorare dall’alba al tramonto.

Le tre, ovvero Veronica Rawlins (Viola Davis), Linda Perelli (Michelle Rodriguez) e Alice Gunner (Elizabeth Debicki), a cui poi si aggiunge Belle O’Reilly (Cynthia Erivo) sono accomunate tutte da una caratteristica. Sono vedove, hanno perso i propri mariti durante un tentativo di rapina finito malissimo. Il filo rosso che lega i loro destini è il lutto, ma le stringe e soffoca ancor di più quello nero della violenza.

Dunque, un po’ per vendetta, un po’ per necessità, decidono di pianificare un colpo. Veronica è a capo dell’operazione, più determinata che mai. Il colpo è preso da un piano del defunto marito, ed è fatto a regola d’arte. Ma si rivelerà più difficile che mai, alle prese con due nemici (Daniel Kaluuya e Colin Farrell) davvero perfidi, luridi e difficili da stanare.

Lo spettacolo è assicurato.

Com’è l’America oggi?

Steve McQueen non è mai banale. Dietro la patina del crime movie con motivo di vendetta, infatti, si nasconde una lucida analisi della condizione americana odierna. Emerge, infatti, una rappresentazione molto dura e fortemente politicizzata dei bassifondi americani. Viene facile pensare che Widows prenda molto dai film di Spike Lee.

Rispetto a Lee, però, McQueen riesce a denunciare la sua “lotta” nei confronti della politica americana mostrando un ceto medio che non riesce a sopravvivere. Ed è costretto a fare i salti mortali per andare avanti e sbarcare il lunario, addirittura a fare cose che un attimo prima si riteneva impensabili.

Widows è anche questo. Un film di denuncia, che non nasconde la sua critica alle politiche neoliberiste e militaresche di Trump (Jack Mulligan/Colin Farrell ne è il perfetto esempio). Un film che mostra il lato “nero” di Chicago e dell’America stessa (lezione, questa, probabilmente presa da quel mitico regista chiamato Michael Mann e da quel capolavoro chiamato Collateral), fatto di corruzione e di sacrifici.

La tecnica estrosa di Steve McQueen

Prendete l’incipit del film. Plongé su Viola Davis e Liam Neeson sdraiati a letto, sul fianco, inquadrati mentre si baciano appassionatamente. Stacco. Lui è fuori, su un furgone, inseguito dalla polizia che spara. Di qua la camera da letto, bianca, luminosa, accogliente, di là la strada, buia, notturna, pericolosa. McQueen i suoi personaggi li presenta così.

Il montaggio alternato insinua già la natura del film. Widows è un thriller corale in cui ognuno ha un peso specifico diverso. E questo, McQueen lo evidenzia tramite i primi piani (di cui il film è pieno) sui vari protagonisti, in particolare sulle “criminali”. Ma la fotografia globale è anche molto bella e mai banale.

L’estro e il talento di McQueen emergono tutti nella scena con Colin Farrell in macchina, in cui se la gioca con un’inquadratura fissa esterna sul parabrezza dell’auto. Ciò riesce a far capire tutta l’inquietudine del personaggio e regala anche una dimensione prettamente europea del suo cinema. Fotografia mai banale, scelte sempre diverse e raffinate.

Ultima nota: la colonna sonora. La scelta di avere pochi pezzi in scaletta, ma davvero raffinati (come A Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum), garantisce un effetto vintage in perfetta sintonia con il film e le sue atmosfere. Perfetta.

Le pecche

Widows, però, non è esente da difetti. Oltre ad avere una componente probabilmente troppo politica, vi è una drammaticità troppo accentuata. Per un thriller come questo risulta un’arma a doppio taglio, in quanto non gli conferisce un ritmo serrato e intrigante.

Inoltre, c’è anche da dire che, per la sua natura di thriller corale, non dà sempre la sensazione di essere “egualitario”. Ogni persona ha un peso specifico diverso, così finisce che una bravissima Cynthia Erivo sia messa in ombra da un’onnipresente Elizabeth Debicki (per la verità non molto in forma), o che al tiranno Daniel Kaluuya (straordinario come sempre) venga continuamente rubata la scena da Colin Farrell.

Inoltre, la dimensione drammatica ritarda sempre il colpo, che esplode troppo in ritardo. E lo stesso finale non rappresenta un vero e proprio punto saldo, in quanto risulta troppo romanzato per un film a tinte noir come questo. Anche se il colpo di scena anticipato è una chicca, perché garantisce un’accelerazione della trama che ci sta nell’economia del film.

Ma è troppo poco.

Antonio Jr. Orrico

Studente al terzo anno di Scienze della Comunicazione, con una passione innata per il giornalismo, per la scrittura, per la lettura e per la musica.

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