Zon.it continua il suo viaggio nel mondo cinematografico, e sceglie un protagonista d’eccezione per il suo nuovo appuntamento. Ecco a voi il “maestro” del surrealismo e dell’orrore: David Lynch
David Lynch. Chiunque, anche i non cinefili, avrà sicuramente sentito pronunciare queste due parole. Stiamo parlando di
uno dei “maestri” della cosiddetta
settima arte,
un’icona portante che
ha sconvolto l’immaginario cinematografico novecentesco e lo ha rivoluzionato. E tutto ruota attorno ad
una componente fondamentale, che nell’arte dello scorso secolo ha giocato un ruolo di prim’ordine:
il surrealismo. Lynch ha il grande merito di intraprendere una
sottilissima visione del cinema. Infatti, molto spesso nelle sue pellicole si trovano coniugati
due leit-motiv che caratterizzano il suo stile: il
gusto per il grottesco e la
componente onirica, che possiamo trovare praticamente in quasi tutte le sue pellicole. Da questo punto di vista, però, occorre fare una
distinzione netta. Come quasi tutti gli artisti che si rispettino, anche il regista del
Montana ha compiuto
un’evoluzione cinematografica nel corso degli anni. Ciò lo ha portato a spaziare su
varie tematiche.
Il regista di provincia
Ma chi si nasconde sotto la
maschera eclettica di
David Lynch? Scopriamolo assieme. Nato il
20 gennaio 1946 a
Missoula, nel
Montana (USA), inizia gli studi di disegno alla
Pennsylvania School of Fine Arts nel
1966 per poi dedicarsi con sempre maggior impegno alla
settima arte. Qui inizia inoltre a fare le
prime esperienze con la macchina da presa. Il suo
primo cortometraggio, dal titolo
Six Figures Getting Sick, viene proiettato all’esibizione di fine anno e
vince il concorso cinematografico annuale dell’accademia. Nel 1970 abbandona in parte il suo interesse per le arti visuali per
dedicarsi principalmente alla pellicola. Vince
una sovvenzione di 5.000 dollari da parte dell’
American Film Institute per produrre
The Grandmother, la storia di un bambino maltrattato che fa crescere una nonna da un seme. Il mediometraggio, che dura 34 minuti, già mostra alcuni elementi che diventeranno
marchi di fabbrica di Lynch:
un sonoro ed un immaginario inquietante con una forte attenzione ai
desideri inconsci. Il film è girato nella casa del regista, le cui pareti vengono, per l’occasione,
dipinte completamente di nero. Nel 1971, Lynch si sposta a
Los Angeles per frequentare il conservatorio dell’American Film Institute. Qui, dopo una serie di cortometraggi ha l’occasione di
realizzare il suo primo lungometraggio per l’American Film Institute, “
Eraserhead“, di cui cura personalmente
tutte le fasi della lavorazione impiegando circa otto anni per la sua realizzazione. Il film ottiene
un discreto successo sia di pubblico che di critica, cosa che gli permette di realizzare
il suo primo progetto ambizioso: “
The Elephant Man” (
1980), la ricostruzione romanzata della vita di
un uomo, orrendamente deformato a causa di una malattia genetica, realmente esistito sul finire dell’Ottocento. Da lì in poi, il regista
apre i suoi orizzonti e
sfonda definitivamente nel panorama cinematografico internazionale.
Visioni, paradossi e successi
Ed è proprio da
The Elephant Man che si può ripartire, per descrivere
lo stile cinematografico di
David Lynch. Quello del regista è un cinema fatto di
elementi e personaggi estremamente bizzarri, ai limiti del
grottesco. Componente fondamentale che diventa un vero e proprio marchio di fabbrica del regista è proprio questa sua capacità di
“sfidare il paradosso” o di crearlo, addirittura. Nelle sue pellicole possiamo apprezzare
il costante utilizzo di donne dal volto deforme, figure antropomorfe con corpi umani e teste di coniglio. Quasi come ci trovassimo in un incubo. Ma nei film lynchiani
non vi è mai una via di fuga. E così, lo spettatore si ritrova
completamente immerso nel mondo di
David Lynch. Il regista riesce sempre abilmente a
scavare l’animo umano, attraverso immagini e sequenze surreali che si mostrano
criptiche, difficili da comprendere. Proprio per questo motivo, però, risultano molto
più contorte ed inquietanti della realtà. L’evocazione dell’inconscio che avviene nelle pellicole assume
la forma, a tratti, di una trappola. E tutto ciò avviene sempre tramite
dialoghi ridottissimi, quasi a dare un
senso claustrofobico e
l’ossessività di suoni e rumori, costruiti appositamente per creare
disagio nello spettatore. Menzione a parte meritano
le trame delle varie opere lynchiane. Chi conosce per bene il regista, sa benissimo che i suoi film son famosissimi per la loro
totale assenza di linearità.
Velluto Blu,
Strade Perdute,
Mulholland Drive,
Inland Empire e la leggendaria serie TV
Twin Peaks sono
rimasti nella storia proprio per questo motivo. Chiunque li abbia mai visti,
ha faticato e non poco per cercare un senso a sequenze frammentate e slegate, capaci di far scoppiare il cervello. Salvo poi dover desistere e
accettare anche questo aspetto della filmografia del regista. Che probabilmente è quello che
lo ha incoronato nell’Olimpo dei più grandi registi di sempre.
Il rapporto inaspettato di David Lynch con il pubblico e la critica
Sebbene le opere di
David Lynch siano sempre
molto difficili da comprendere, almeno a primo acchito, ciò
non influenza quasi per nulla il giudizio del pubblico. Infatti, le sue pellicole (salvo
rare eccezioni, come
Dune) hanno sempre riscosso
un discreto successo ai botteghini. Ma parliamo pur sempre di un tipo di cinema
molto “di nicchia” e particolare. Altra constatazione molto sorprendente da osservare è come i film di Lynch siano quasi sempre apprezzati anche dalla
critica cinematografica. Non a caso, il regista ha ricevuto durante la sua carriera
tre nomination agli Oscar per la regia (con
The Elephant Man,
Velluto Blu e
Mulholland Drive) e la
Palma D’Oro nel
1990 per
Cuore Selvaggio. Insomma, il regista è
uno dei pochi nella cinematografia mondiale ad
aver coniugato in maniera ottimale
due aspetti essenziali nel mondo dello spettacolo:
il rapporto (importantissimo) con il pubblico e il rapporto con la critica.
VOTO: 5 David Lynch è sicuramente uno dei
registi più importanti della storia cinematografica. Il suo stile è diventato
un marchio di fabbrica del cinema surreale, tutto ciò tramite opere che hanno reso unico e riconoscibile il suo
“sguardo stralunato” sul mondo. Stiamo parlando, probabilmente, del
regista più “alternativo” di tutti i tempi, nel suo modo di fare cinema e di concepire opere.