9 Marzo 2017 - 22:46

Conferenza sulla donna al Museo di Paestum

Conferenza sulla donna al Museo di Paestum

La donna e il suo ruolo nella storia nella cornice di Paestum: un viaggio alla scoperta dell’identità femminile in uno scenario d’eccezione

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Si è svolta l’8 Marzo 2017, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, un’interessante conferenza presso il Museo di Paestum. L’evento si inserisce in un progetto molto ampio di sviluppo culturale, e del territorio, patrocinato dal nuovo direttore Gabriel Zuchtriegel.

Conferenza sulla donna al Museo di Paestum

Intervento di Pina Nuzzo

L’incontro, curato dall’Associazione femminista Artemide, ha avuto inizio nel pomeriggio, ore 17.30. Si sono susseguiti gli interventi di Eva Cantarella, storica dell’antichità e del Diritto antico, docente di Istituzioni di Diritto romano e di Diritto greco antico all’ Università statale di Roma; dello stesso Gabriel Zuchtriegel e di Pina Nuzzo, da sempre impegnata nell’attività politica e nella lotta all’emancipazione femminile e che ha avviato, nel 2012, il Laboratorio donna, un progetto che si propone di analizzare, e “tradurre”, pensiero e descrizioni dell’universo femminile. In questa occasione l’artista ha esposto una sua opera e ha spiegato la sua visione del tema.

Conferenza sulla donna al Museo di PaestumNella Grecia antica le donne avevano riconosciuta per legge la condizione di libertà, non potevano, però, partecipare alle assemblee cittadine né accedere alle cariche pubbliche.

Quello dell’uguaglianza è un concetto “moderno” e, come tutte le parole politiche, è privo di significato se non viene contestualizzato. Per Aristotele era un significante astratto, in quanto il problema non si poneva in essere. Non si era uguali.

La donna ateniese, soprattutto se era di elevata estrazione sociale, trascorreva la maggior parte del proprio tempo in un luogo appartato, chiuso, il gineceo, nel quale svolgeva tutte le funzioni a lei riservate: cucinare, filare, tessere, curare e crescere i figli. Dipendeva dal maschio. Prima dal padre, poi dal marito e dai figli maschi maggiorenni.

La donna spartana, invece, era più autonoma, poteva uscire  e gestire il suo tempo in modo più libero, dato che la polis si occupava dell’ educazione dei figli.

In ogni caso non si può parlare di diritti civili né politici. Le uniche donne libere erano le etère e le sacerdotesse. Le etère rappresentavano una figura particolare. Erano accompagnatrici, per alcuni aspetti assimilabili alle cortigiane o alle prostitute ma, erano soprattutto intrattenitrici, colte e sofisticate. Un’ etèra famosa è quella descritta da Plutarco in Vite parallele. Lamia era la preferita del re Demetrio I Poliarcete. O ancora Frine ( Mnesarete), figlia di Epicle e famosa per la sua bellezza fu ispiratrice dello scultore Prassitele.

Pochissime, rare le donne che godevano di fama per le loro capacità artistiche o creative, come la poetessa di Lesbo, Saffo, che visse tra il 7° e il 6° secolo a.C..

Le romane godevano di una considerazione maggiore rispetto alle greche, queste ultime viste alla stregua di schiave. Quando le Sabine furono rapite, nel famoso Ratto, accettarono di andare spose solo ad alcune condizioni: non svolgere mansioni per gli uomini ad eccezione della filatura della lana; avere il passo incontrando un uomo per la strada; non ricevere parole sconvenienti; non dover mai subire la vista di un uomo nudo; poter dotare i loro figli di una veste e di un ciondolo particolari. Queste regole furono accettate e poi disattese.

Le etrusche godevano di diritti simili a quelli maschili. Nella Roma antica, invece, le giovani potevano  essere promesse spose senza la loro volontà. Catone scriveva : “Se sorprendi tua moglie in adulterio puoi ucciderla senza essere posto in giudizio; se sei stato tu a commettere adulterio che ella non osi toccarti con un dito, non ne ha diritto”.

Il marito poteva uccidere gli adulteri se li sorprendeva in casa sul fatto.Le romane erano poste sotto tutela altrui (dell’uomo). Le limitazioni alla capacità giuridica delle donne erano attribuite alla debolezza e all’ignoranza.

Gabriel Zuchtriegel analizza e interpreta una figura controversa della mitologia. Ermafrodito è figlio di Ermete e di Afrodite e possiede già nell’ aspetto fisico elementi della madre e del padre. Il mito narra della sua rara bellezza e dell’amore di una fanciulla, Salmace, la quale, respinta, chiede agli dei di fondere il suo corpo con quello dell’amato. In questo modo la donna scompare trasformando Ermafrodito e dotandolo di  una natura che accorpa il maschile e il femminile allo stesso tempo.

Scompare la dualità uomo/donna e si crea la completezza, l’unità. Spesso si trovano raffigurazioni di ninfe con attributi maschili. Il vestito sollevato mostra la realtà, ciò che all’apparenza si può occultare.

I popoli dell’antichità facevano una netta differenza tra l’“ermafrodito concreto” e l’“androgino rituale”. Un neonato che presentava ermafroditismo era considerato dalla famiglia un segno della collera degli dei, ed immediatamente eliminato, come accadeva per tutti i neonati gravemente imperfetti. La sua unica speranza di scampo era di essere accolto nell’ordine del sacro, come vivente rappresentazione della coincidenza degli opposti e figura che riuniva in sé la potenza magica e religiosa di entrambi i sessi, di cui acquisiva i poteri attraverso pratiche rituali. La principale di queste pratiche era il travestimento.

A conclusione dell’incontro, Pina Nuzzo fornisce alcune spiegazioni sul suo dipinto “ Segni che fondano il mondo”. La tela ben rappresenta la natura multiforme della donna e la visione stratificata su più livelli. Tutti i ruoli (stereotipi ma anche un nuovo inquadramento, nato da una maggiore consapevolezza, che crea un trampolino di lancio per scoprire la propria identità reinventandosi continuamente). Il melograno, la simbologia di fertilità, la sacralità, che ricorre nell’immaginario antico;  il grano e le pagliuzze annerite della pula, amalgamandosi ai colori, creano vortici  e riflessi di una femminilità ancestrale, multiforme.

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