27 agosto 1950, settant’anni fa moriva Cesare Pavese
Cesare Pavese si tolse la vita in una camera dell’Hotel Roma a Torino lasciando una frase sul frontespizio dei “Dialoghi con Leucò“
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Questa fu la frase che Cesare Pavese lasciò come “testamento” sul frontespizio dei “Dialoghi con Leucò“ il 27 agosto 1950. Nella stanza 346 il tempo è fermo al giorno dell’addio. Il giorno in cui il corpo senza vita dello scrittore venne ritrovato dal personale alberghiero. Il proprietario dell’Hotel Roma ha dichiarato: “Lasciare intatta la stanza è il nostro tributo alla storia”.
Il sabato 26 agosto Pavese chiese alla sorella Maria di preparargli la solita valigetta per i viaggi brevi, ricorda il suo biografo Davide Lajolo. Un’azione usuale dato che ogni fine settimana lo scrittore si recava fuori Torino con amici. Poi, invece, al posto di recarsi verso i binari del treno si fermò in albergo, dove aveva bisogno di trascorrere qualche ora con una donna.
Fece molte chiamate quel giorno. Ma come scrive Lajolo, “da quella stanza non scenderà più vivo“. Non essendosi presentato né a pranzo né a cena, un cameriere si insospettì, bussò più volte ma non ebbe nessuna risposta.
Il cadavere venne ritrovato composto sul letto con accanto i Dialoghi nei quali aveva scritto prima di morire l’ormai celebre frase. Sul comodino giacevano abbandonate sedici bustine aperte di sonniferi.
Settanta lunghi ed interminabili anni sono passati da quel giorno. L’immensa figura letteraria di Cesare Pavese riverbera ancora oggi con tutte le sue angosce, contraddizioni ed inettitudini proprie di un uomo condannato alla solitudine poetica. “Un mito” costruito attorno ad un’infelicità che trascende le delusioni. Ecco allora che nel suicidio si intrecciano la fuga e il sacrificio di tutta una vita, la rinuncia all’attivismo e la scelta di porsi come contemplatore distaccato e sofferente. “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela la nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte”.
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