10 Giugno 2021 - 18:54

40 anni dalla tragedia di Vermicino: la storia di Alfredino Rampi

Alfredino Rampi

A 40 anni di distanza, la tragedia di Vermicino continua a far parlare. La storia di Alfredino Rampi, il bimbo di 6 anni morto in un pozzo

Seguita da oltre 21 milioni di spettatori, la tragedia di Vermicinio rimane una delle pagine più buie della storia contemporanea italiana. La tragica e inusuale morte del bimbo di 6 anni, Alfredo Rampi, detto “Alfredino”, lascia ancora aperti, a quarant’anni di distanza, degli scenari percorribili. Grande ancora oggi il dolore di chi, dopo ben 60 ore di tentativi, si calò nel buio di quel pozzo stretto e interminabile.

L’incidente

La sera del mercoledì 10 giugno 1981, Alfredo, insieme a suo padre, Federico Rampa e due suoi amici, imboccano la strada del ritorno verso casa, dopo una lunga passeggiata nelle campagne di Vermicino, luogo della loro vacanza. Il piccolo Alfredo però, quella sera a casa ci torna da solo, ma soltanto dopo aver ricevuto il permesso dal padre Federico.

Ma Alfredo non farà mai ritorno a casa: sarà, invece, trovato qualche ora più tardi da un’agente di polizia, il brigadiere Giorgio Serranti, in un pozzo lì nelle vicinanze, coperto da una lamiera. Il proprietario del terreno, Amedeo Pisegna, abruzzese di 44 anni, insegnante di applicazioni tecniche, successivamente si giustificherà affermando di aver proceduto alla copertura della voragine intorno alle 21, ovvero a ricerche già iniziate e di non udito alcun verso o lamento proveniente dal pozzo. Pisegna sarà poi arrestato con l’accusa di omicidio colposo e con l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni.

I soccorsi e il “pozzo parallelo”

Sin da subito, le operazioni di primo soccorso purtroppo presentano un quadro allarmante, con condizioni di un pericolo tale da rendere qualsiasi tentativo inutile. Secondo le prime stime, il bambino sarebbe, infatti, precipitato in una voragine dall’ampiezza di 28 cm e una profondità di oltre 80 metri, con pareti frastagliate, instabili, piene di sporgenze e rientranze. La conformazione frastagliata del pozzo risulterà poi essere il più grande ostacolo delle operazioni messe in campo nelle ore successive da soccorritori e volontari.

Dopo svariati tentativi, si ipotizza così di realizzare un tunnel parallelo al pozzo. Dal tunnel si sarebbe poi aperto un cunicolo orizzontale lungo 2 metri, in modo da penetrare nella cavità poco sotto il punto in cui si supponeva si trovasse in quel momento Alfredo, bloccato, secondo le prime stime, a 36 metri di profondità.

Il primo fra tutti a calarsi all’interno del tunnel fu il caposquadra ventiduenne, Tullio Bernabei, dalla corporatura esile, a cui seguì il secondo tentativo di Maurizio Monteleone, anch’egli speleologo.

A tentativi falliti però, il comandante dei Vigili del Fuoco di Roma, Elveno Pastorelli propose di sospendere i tentativi e pompare nel frattempo, ossigeno nel pozzo, in modo da evitare l’asfissia del bambino. Il piano di realizzare un “pozzo parallelo” risultò più difficile del previsto, a causa di substrati di terreno molto duri che, secondo la geologa Laura Bortolani presente sul posto, avrebbero richiesto tempi molto lunghi di perforazione.

Alle 10:10 del 12 giugno, ben due giorni dopo il ritrovamento, i vigili del fuoco rividero la stima della profondità in cui si trovava il bambino, passando da 36 a 32,5m. Alfredo Rampa a quel punto non risponde più alle sollecitazioni dei soccorritori e i medici presenti sul posto riferiscono che il respiro del bambino avrebbe raggiunto le 48 espirazioni al minuti.

L’Angelo di Alfredino

Tra i volontari calatisi all’interno del pozzo c’è anche Angelo Licheri, l’uomo ragno di Vermicino. Snello e piccolo di statura, Licheri richiede di potersi calare per tutti i 60 metri di profondità del pozzo: ‘la mattina prendo il giornale e leggo: bambino di 6 anni caduto in un pozzo artesiano. Il mio unico pensiero era quello di andare in soccorso di questo bambino – racconta Licheri – al che mi presento lì dicendo di volermi rendere utile‘.

La discesa nel pozzo

 Licheri comincia così la sua discesa poco dopo la mezzanotte fra il 12 ed il 13 giugno, riuscendo ad avvicinarsi ad Alfredino: ‘ho cercato piano piano di lavorare con le mani, che poi non potevo farmi largo in ampiezza, ma solo in verticale, perché il pozzo era stretto e potevo solo scavare con le dita e guardare. Appena sceso ho toccato con le mani ed era il bambino, con un dito gli ho pulito la bocca, gli ho pulito un po’ gli occhi per farglieli aprire, ma lui è rimasto così e rantolava‘.

Diversi anche i tentativi di apporre l’imbracatura attorno al bambino: ‘una volta liberate le mani, per poter infilare l’imbracatura; ho messo quest’imbracatura partendo dalle spalle e riportandola indietro. Ho intimato di tirarlo su e loro hanno tirato però hanno dato uno strattone e si è sganciato il moschettone‘.

Da qui l’idea di prenderlo dalle braccia, tentativo che fa scivolare il bambino ancora più in profondità, spezzandogli involontariamente il polso sinistro: ‘Ho provato a prenderlo da sotto le ascelle, ma anche lì, tirandolo su, davano degli strattoni impossibili. Quando poi ho provato dai polsi hanno tirato ancora e gli ho spezzato il polso sinistro e lui manco si è lamentato‘.

Un ricordo ancora impresso nella mente di Angelo che, ancora oggi, vive di sensi di colpa per non essere riuscito a salvare Alfredo Rampi, nemmeno con quell’ultimo disperato tentativo: ‘Mi sono sentito in colpa e ho pensato a quanto avesse già sofferto questa cosa e poi sono arrivato io a rompergli anche il polso. L’ultimo tentativo che ho fatto e stato prenderlo per gli indumenti che aveva, ma sentivo che cedeva, così – ricorda Licheri – gli ho mandato un bacio e sono venuto su‘.

In tutto, Licheri rimase a testa in giù 45 minuti, contro i 25 minuti di soglia massima di sicurezza in quella posizione.

La tragedia spettacolarizzata

Alle 16:00 del 13 giugno, viene così calata nella buca una piccola telecamera fornita da alcuni tecnici della Rai, presenti lì sul posto insieme a molte altre trasmittenti televisive. A circa 55 metri la telecamera inquadra la sagoma immobile di Alfredino. Il caso viene ricordato come una delle vicende più seguite, trasmessa per oltre 18 ore di diretta no stop dalla Rai e con oltre 21 milioni di persone incollate allo schermo. La troupe televisiva, avendo seguito la vicenda dall’inizio, fu incoraggiata dall’incauta dichiarazione rilasciata dal capo dei Vigili del Fuoco, Elveno Pastorelli, il quale avrebbe fatto pensare a una conclusione vicina o quasi imminente.

Una volta precipitata la situazione però e, dunque, con l’eventualità di un esito negativo della vicenda, le emittenti televisive non poterono sottrarsi alla risonanza che la notizia aveva ormai già raccolto.

Ben 21 milioni di spettatori, per una diretta durata 18 ore di fila, in una vera e propria tv del dolore: ‘Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi‘, dichiarava Giancarlo Santalmassi nell’edizione straordinaria del TG2 del 13 giugno 1981.