9 maggio 1978: Aldo Moro e la verità mai rivelata
Dopo 37 anni il rapimento Moro rimane avvolto in un alone di mistero e inquietudine
[ads1]
Il 9 maggio viene ricordato da anni come una data particolare per l’intera penisola italiana: nel 1978 in Via Caetani a Roma viene ritrovata una renault 4 rossa al cui interno giace il corpo senza vita del Aldo Moro.
Da quel momento in poi il sequestro e l’uccisione del leader democristiano si arricchisce di tanti nuovi spunti che non porteranno, però, ad una completa visione sulla vicenda.
Infatti, dopo aver individuato nelle Br i “mandati unici” dell’azione, la vicenda si arricchisce di nuovi dati con una lettera anonima inviata nel 2009 al quotidiano torinese “La Stampa”.
La missiva portava all’attenzione del lettore, e soprattutto delle autorità competenti, nuovi ed inquietanti particolari che evidenziavano il coinvolgimenti di altri soggetti nel caso Moro.
In primo luogo si fa riferimento ad una Honda blu presente in via Fani il giorno del rapimento(16 marzo 1978); l’autore della lettera si presenta come il passeggero di quella moto e come colui che, insieme al guidatore, aveva il compito di proteggere le Br da qualsiasi azione di disturbo.
Il testo presentato porta a diversi interrogativi fra le autorità tanto da mettere in allarme l’allora ispettore dell’antiterrorismo Enrico Rossi.
Le indagini avviate da Rossi, che rivela il tutto solamente nel 2012, vengono, come da sue dichiarazioni, ostacolate da subito anche perchè rivelano diverse anomalie.
In primo luogo, dopo aver appurato la dipendenza dei due personaggi sulla Honda alle dipendenze del colonnello Guglielmi , l’ispettore richiede un’indagine sull’uomo descritto nella lettera ma, spesso e volentieri, la stessa viene ostacolata inspiegabilmente.
Dopo aver rinvenuto una pistola (modello Drulov, arma per specialisti a canna lunga e indicata per i tiratori scelti) e aver richiesto i relativi accertamenti, si scopre che la stessa è stata distrutta in circostanze misteriose senza aver portato a termine alcuna perizia.
A questo dato se ne aggiungono altri due: il caso dell’ingegner Marini e il ruolo Camillo Guglielmi.
Il primo elemento coinvolge il malcapitato Marini che, trovatosi di passaggio all’incrocio tra via Fani e via Stresa, viene raggiunto da una raffica di mitra che lo ferisce solamente grazie alla caduta di lato dal motorino su cui viaggiava.
L’ingegnere, che ricorda la Honda blu presente in Via Fani e uno dei suoi conducenti, dopo l’agguato viene raggiunto da una telefonata alquanto strana dove gli si intima di stare zitto.
Dopo continue pressioni e minacce Marini decide di trasferirsi in Svizzera e di cambiare totalmente vita.
Il secondo elemento fa invece riferimento alla “casuale” presenza, a due passi da via Fani, di Camillo Guglielmi indicato come addestratore di Gladio (l’organizzazione paramilitare clandestina italiana).
A Guiglielmi, dopo l’inchiesta parlamentare compiuta dalla Commissione stragi, viene attribuita anche la parternità di un gruppo clandestino del Sismi (i servizi segreti) incaricato di gestire il rapimento Moro.
Infine, a completare l’intricato puzzle italico, si fa riferimento anche alla presenza di un gruppo di servizi segreti stranieri coinvolti nella vicenda.
Nel caso specifico lo stesso Rossi richiama Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e ‘superconsulente’ del Governo italiano ai tempi del sequestro, ritenuto responsabile della vicenda circa un suo consorso diretto nell’omicidio.
Come per tanti altri casi anche il sequestro Moro rimane totalmente nell’oscurità e le verità emerse negli anni (e troppo spesso celate) potrebbero minare le basi di uno Stato direttamente coinvolto nella vicenda.
[ads2]
ARTICOLO PRECEDENTE
Il nuovo volto della sinistra: Pisapia e le strategie di SEL
ARTICOLO SUCCESSIVO