Radio: la proposta di legge per la musica “sovranista”
Fa discutere la proposta del deputato leghista Alessandro Morelli, di garantire un terzo della programmazione radiofonica italiana alle opere autoctone
E’ di ieri una nuova proposta di legge della Lega che mira a rivedere le norme vigenti in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana. In altre parole, il deputato verde Alessandro Morelli, propone che un terzo delle canzoni programmate in radio siano opera di autori e di artisti italiane, incise e prodotte sul nostro territorio.
Perchè no
Perchè la proposta di una radio sovranista, così come intavolata, non funziona. Innanzitutto perchè usa ancora una volta la vittoria di Mahmood a Sanremo come capro espiatorio; le dichiarazioni di Morelli all’AdnKronos appaiono ancora una volta dimentiche che sia Mahmood (Alessandro Mahmood) che il suo produttore (Dardust, Dario Faini) sono italiani.
Aprire la strada a opere “incise e prodotte sul nostro territorio” vorrebbe dire porre il veto,per dirne una, sulla musica di Tiziano Ferro che da anni è di stanza a Los Angeles; o ancora, un siffatto sistema che tende alla confusa generalizzazione, ostracizzerebbe un artista come Ermal Meta, che canta, parla e produce in italiano ma è, anagraficamente, albanese.
Nella proposta di legge di Morelli si prevede poi una percentuale per gli artisti emergenti; e qui, a dire la verità, una proposta c’è già e viene dalla, tuttora arenata, raccolta firme del MEI sostenuta anche dalla Fimi che prevedeva di garantire il 20% della programmazione radio alle opere prime e seconde di artisti italiani.
Onestà intellettuale
E’ anche vero, però, che la proposta per una radio sovranista l’aveva avanzata, in occasione della prima Milano Music Week, l’allora Ministro Dario Franceschini, ma ciò non causò granchè rumore.
Fatta salva l’imprescindibile onestà intellettuale che dovrebbe caratterizzare fruitori e addetti ai lavori, da un punto di vista meramente economico è vero che la musica prodotta in Italia e passata dalle radio italiane genererebbe maggiori introiti per un’industria perennemente al collasso, ma non credo che l’imposizione sia la strada giusta, conscio soprattutto del fatto che la radiofonia non è ormai l’esclusivo ed unico mezzo di orientamento delle scelte musicali dei fruitori. E poi, diciamocelo chiaramente: c’è musica italiana e musica italiana. Chi sarebbe pronto a portarsi sulle spalle tutta la presunzione di qualità del caso?
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