21 Novembre 2016 - 15:45

A Luigia

Forse ha ragione colui che sostiene che qui, sulla terra, siamo soltanto di passaggio. Che siamo come una penna poggiata su di una scivania, o un mazzo di fiori in un vaso. Non eterni, destinati a cambiare posizione continuamente. Abbiamo la consapevolezza, o finta tale, di essere immortali. Di poter rimandare amori e delusioni, o viverle senza darci peso più di tanto. Siamo eternamente convinti di poter mettere il mondo sotto naftalina. Poi arriva qualcuno e quel barattolo con il mondo intero dentro ce lo scaraventa a terra. Ed ecco che il mondo si frantuma in mille pezzi. Sabato notte, nella mia città, è andata via Luigia Campanaro investita da un auto in corsa. Erano le 2 e 30 di notte. Con il suo ragazzo usciva dal bar dove si era intrattenuta a conclusione della serata. Gli ultimi saluti agli amici, forse si sarebbero dovuti vedere il giorno dopo. Si avviano alla macchina e Luigia insieme al fidanzato vengono travolti da un auto. Corre, tanto. Prima di uccidere Luigia aveva già preso alcune macchine parcheggiate. C’è un attimo di silenzio, poi le urla di chi ha assistito in diretta. Luigia sta male, ha la peggio. Arrivano i soccorsi, ma lo spettacolo sta finendo. Dopo pochi minuti cala il sipario. Non ci sono applausi, è stato lo spettacolo più brutto mai visto. Poi nelle ore seguenti è una caccia all’uomo, un ragazzo di 20 anni. Lo trovano e lo arrestano. Ma Luigia non c’è più. 25 anni, tanti ne aveva Gihn come la chiamavano le amiche. Ero rincasato poco prima che avvenisse l’incidente, e la mattina dopo leggo la notizia. Io Luigia la conoscevo, ci avevo fatto l’Università insieme. Il cuore si stringe in una morsa, braccato in una tagliola fatta di incredulità. Non avevo voglia di darla io la notizia, non ce l’ho fatta. Un mio collega le ha dedicato un pensiero bellissimo in prima pagina sul giornale. C’è un sacco di gente che la conosceva. La giornata scorre, lentamente. Ogni minuto ripenso a quello che è accaduto. Non vorrei consoscere nessuno, così non proverei dolore quando qualcuno va via. Ma di gente ne consoco tanta. Non accetto l’idea che si possa morire a 25 anni. Sono sceso e sono passato sul luogo dove Luigia ha respirato per l’ultima volta la mia stessa aria. C’era silenzio, consapevolezza, incredulità, rassegnazione. Sull’asfalto, nelle foto, c’erano degli occhiali. I suoi, caduti a terra e spezzati come il suo sorriso. Mi manca il fiato e torno a casa, le scrivo qualcosa sulla bacheca di Facebook. Come se lei potesse leggermi. E ne sono certo. Ho aspettato tutto questo tempo per dedicarle due righe, ma vi giuro che non so davvero cosa dire. Ho rabbia fino al fegato, è una sensazione orrenda. Quando muore qualcuno, specie se ha la tua età, è come se morisse un compagno di trincea. Trincea si, perchè siamo tutti in guerra. Contro noi stessi, contro la vita, contro il mondo. A volte abbiamo le medaglie al valore, gareggiamo uno contro l’altro e ci prendiamo a sportellate pur di mandare fuoristrada chi, in quel momento, si frappone fra noi e il nostro obiettivo. Passi notti intere a studiare, a dare esami all’università, a rifiutare voti e piangere per essi. Ci laureiamo, qualcuno di noi viene promosso con un grado più alto. Il resto rimane di vedetta, sperando che la vita non ci colga di sorpresa. Ma quando capita, hai la sensazione che potevi fare di più. Te la porti dentro, rimani col magone. Quando invece basterebbe poco, un sorriso in più ed una mano tesa e non serrata. Ora Luigia probabilmente ci servirà di lezione per qualche tempo, poi di nuovo sotto a fare i coglioni. Che ci riesce benissimo. E di Luigia non ci rimarrà altro che una foto stampata in testa e del suo sorriso spezzato, che ti toglie il respiro. E ti scardina il cuore.

Ciao Luigia.