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Ad Astra: quando la volontà umana raggiunge l’impossibile

Ad Astra è il nuovo film con protagonista Brad Pitt per la regia di James Gray. E’ stato presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia 2019. Ecco la recensione di Zon.it

Ad Astra è il nuovo film di fantascienza con protagonista Brad Pitt per la regia di James Gray. Presentato in anteprima e in concorso al Festival di Venezia appena conclusosi, il film si presenta come un vero e proprio viaggio dell’eroe. Un viaggio che però si svolgerà in solitudine per l’abile astronauta Roy McBride (Brad Pitt) e che è ha l’obiettivo di sconfiggere i suoi demoni.

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Il maggiore McBride infatti sente di non appartenere alla terra, all’ordinario, ma allo spazio allo straordinario. In un’epoca in cui andare sulla luna, è diventata un’occasione per viaggiare a bordo di shuttle commerciali, in un’epoca in cui l’uomo è diventato un divoratore di mondi in cerca di nuove risorse da sfruttare, Roy lavora in una stazione spaziale ed esce da un matrimonio andato male a causa della sua dedizione al lavoro. Durante una missione, Roy sopravvive miracolosamente ad un volo attraverso l’atmosfera per atterrare sulla Terra. In seguito viene convocato dai suoi superiori della SPACECCOM e da questo momento in poi inizierà il suo viaggio più difficile.

Roy infatti verrà a sapere che il padre, scomparso nello spazio nei pressi di Nettuno, quando lui aveva solo 16 anni, probabilmente è ancora vivo e dovrà quindi confrontarsi con il fantasma di un uomo che è sempre stato la sua ossessione. Dopo la sua scomparsa, Roy ha voluto seguire le sue orme, vivendo all’ombra di quello che per tutti era un grande eroe ed esploratore spaziale. Proprio per questo nonostante le sue mille abilità, grazie alle quali riesce a gestire situazioni in cui chiunque resterebbe immobile, Roy nasconde un animo fragile e tormentato.

Il viaggio

Il maggiore McBride ben presto capisce che lo scopo della sua convocazione è localizzare il padre e distruggere la sua navicella. A causa di quest’ultima infatti tutto il sistema solare rischia di essere distrutto da alcuni picchi di energia. Sentendosi così usato, il nostro protagonista inizia a perdere quella calma apparente che lo caratterizza, vista la sua vita molto abitudinaria e vuota. Emergerà quindi tutta la rabbia repressa per anni e deciderà di superarla; per farlo dovrà occuparsi egli stesso di suo padre, portando a termine la missione.

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Così si imbarca di nascosto sulla navicella diretta verso Nettuno. Dopo una colluttazione con gli astronauti incaricati alla missione, resterà da solo per quello che sarà il viaggio più lungo della sua vita. Un viaggio in cui sia il suo fisico, sia la sua psiche inizieranno a vacillare e a sprofondare nell’abisso.

A questo punto il viaggio dell’eroe assume l’aspetto di un viaggio psicologico e di ricerca di sé. Roy infatti parte con la speranza di raggiungere quella maturità, che a causa della perdita del padre non ha mai raggiunto. Lo spettatore viene catapultato nel suo inconscio grazie alla voce fuori campo che accompagna tutto il film. A questa voce, per accentuare lo stato d’animo del protagonista, si aggiungono anche un’infinità di primi piani che a volte risultano inespressivi.

Brad Pitt e James Gray in Ad Astra

L’interpretazione di Brad Pitt obiettivamente non passerà alla storia come una delle miglior performance da protagonista. Ad Astra infatti è successivo al nuovo film di Tarantino, “C’era una volta a Hollywood”, dove Pitt, pur non essendo il solo protagonista ha avuto un ruolo sicuramente più memorabile.

E’ anche vero però che diversamente da Tarantino, Gray voleva portare sullo schermo una personalità tendente all’esistenzialismo e questo sicuramente lo differenzia da Cliff Booth, che invece sta bene con se stesso e con la sua vita. Proprio per questo motivo, se si osserva bene Pitt, in Ad Astra offre allo spettatore proprio ciò che il regista gli ha chiesto.

Gray ha affermato che per la realizzazione di questo film si è ispirato a una citazione, scritta da Arthur C. Clarke, autore del romanzo 2001: Odissea nello spazio: “Esistono due sole possibilità. O siamo soli nell’universo, oppure non lo siamo. Entrambe sono terrificanti”. Chiari sono quindi i riferimenti ai film capolavoro del genere, come appunto “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick e “Solaris” di Andrej Tarkovsky. Insomma pietre miliari della fantascienza, alle quali però Gray non riesce molto ad avvicinarsi.

Quello che vediamo sullo schermo è infatti il solito cliché dell’astronauta imbattibile e ben voluto dall’universo che riesce a finire il suo viaggio da solo e a salvarsi. Non si può non ricordare anche “Gravity” con Sandra Bullock o “The Martian” con Matt Damon se si guarda al cinema più contemporaneo. Tale cliché però si eleva a viaggio introspettivo e drammatico, narrato da una sceneggiatura in alcuni punti prevedibile.

Dalla fantascienza al drammatico/psicologico

Proprio guardando a questi elementi non si può parlare di puro film di fantascienza, ma anche di film drammatico/psicologico ambientato nello spazio. L’obiettivo era quello di mettere in scena il rapporto complesso tra un padre e un figlio, abbandonato adolescente e tutte le conseguenze del caso. Roy è infatti assalito da mille dubbi e domande ed è un abile osservatore della società in cui vive una vita segnata dalla routine.

L’ambientazione è in un futuro prossimo e attraverso i pensieri di Roy emerge una chiara critica alla società e agli uomini, la cui intima essenza resta invariata anche quando tutto intorno a loro cambia. Si pensi alle guerre sulla luna per il controllo delle risorse o alle esplorazioni spaziali in cerca di nuovi pianeti da colonizzare/sfruttare. L’uomo fa questo dall’alba dei secoli e Gray ha voluto mostrarlo anche in un futuro distopico.

Quindi si può dire che se la facciata è quella di un film di fantascienza, che non regge il confronto con i capolavori del genere, l’interno è drammatico/psicologico e in questo il risultato raggiunto è ad un ottimo livello. Gray ha quindi realizzato, probabilmente per la prima volta nella sua carriera, un film molto ambizioso che solo in parte soddisfa gli obiettivi.

La cornice che tiene insieme tutto questo è stata realizzata egregiamente: il film infatti risulta curato in ogni particolare tecnico. Ad Astra presenta un’ambientazione più che credibile, avendo avuto il supporto della NASA, del Jet Propulsion Laboratory e della SpaceX. Si pensi alle avanzate tecnologie mostrate o alle riprese nello spazio di altissima qualità.

Molto curati anche i colori che richiamano le varie fasi del viaggio dell’eroe. Si inizia con il grigio/neutro della terra per poi approdare al bianco della luna. Poi c’è il rosso su Marte, dove Roy inizia a perdere il controllo di sé e inizia a comprendere che le situazioni irrisolte del suo passato ne influenzano la vita privata. Quindi il rosso è perfetto per rappresentare l’emergere della sua rabbia repressa. Poi si passa alle tonalità fredde durante il viaggio, per arrivare finalmente alle tonalità calde quando Roy rimette piede sulla terra, ormai consapevole di sé e senza più troppi dubbi o questioni perturbanti.

Redazione ZON

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