25 Febbraio 2020 - 08:00

Alla scoperta dei tesori nascosti degli Alburni

Dalla sacralità dei luoghi del guerriero degli Alburni a quella della grotta di San Michele. Sotto il segno di Antece, questa settimana gli Outdoorini vanno alla scoperta dei tesori nascosti di S.Angelo a Fasanella

Molte sono le ricchezze che i monti Alburni svelano e tante altre che involontariamente nascondono.

Tra questi, l’immagine di un guerriero nella roccia e un santuario in una grotta: il dio Antece e la grotta di San Michele. Entrambi luoghi di culto, portatori di simboli e credenze di origine diversa, entrambi segno e traccia di due differenti comunità, che in diversi tempi hanno abitato questo pezzo del Cilento interno, entrambi oggi riconosciuti patrimonio dell’Unesco.

Tesori che raccontano il rapporto dell’uomo con la divinità, dunque con la sua terra. Una terra che ha continuamente generato bellezza e oggi accoglie orgogliosa la sua eredità, attraverso le visite dei curiosi, le ricerche degli studiosi, le parole spese dai suoi amanti e i passi degli Outdoorini. La terra in questione, nei pianori della costa Palomba fino al borgo di Sant’Angelo a Fasanella, è un luogo che ha avuto il compito di fare da tramite tra le comunità di un tempo e le forze soprannaturali, tra le manifestazioni dell’umano e il manifestarsi del divino.

E noi oggi noi ce ne andiamo errando proprio per questi luoghi sacri.

Foto di Tonia Rotondo

La via per arrivare è degna di un pellegrinaggio, irta, fangosa e piena di spine, capricci dell’inverno che mettono a dura prova le nostre capacità atletiche. Con l’aiuto dei bastoncini e degli impavidi apripista, in poco più di due ore superiamo il “tratto della penitenza” e sbuchiamo prima in una faggeta, infine sul sentiero tracciato, quello pulito, spazioso, che ci dà una boccata panoramica sul mare del Cilento. Dagli stretti passaggi impervi attraversiamo i tronchi candidi dei solenni faggi che ci guidano verso la cima. Il paesaggio si fa poco a poco aperto e lascia pieno spazio alla roccia brulla nell’approssimarci alla vetta, come a ricordarci che “siamo vicini alla divinità”.

La terra che oggi ci ospita è quella del monte di Costa Palomba, la montagna di Sant’Angelo a Fasanella che appartiene ai nivei Alburni, un pianoro roccioso che guarda il mare della costa cilentana, dove 2.500 anni fa decisero di stabilirsi popolazioni primitive per costruire una comunità autonoma.

Erano gli antichi Lucani, popolo italico ricco di tradizioni, che abitarono l’entroterra campano scontrandosi con Greci e con i Romani poi, per difendere dalle invasioni quella che un tempo era la “loro Campania”. Presidiarono a lungo l’antico castrum che avevano costruito, una superba fortezza eretta tra il IV e il II secolo a.C, situata sulla sommità del monte che guarda tutta la valle del Calore e di cui si vedono ancora i resti della cinta muraria.

Foto di Tonia Rotondo

E colui che si affaccia e guarda questa valle, ogni giorno da più di due millenni, è l’Antece, il “guerriero degli Alburni” scolpito nella roccia,detto U’ Moccio dai pastori del luogo, finalmente qui, ora di fronte a noi, a 1.125 m di altezza, a guardia della valle a protezione da sempre della sua comunità.

Una scultura rupestre ad altezza di uomo con le braccia aperte, l’Antece ci accoglie vestito di una corta tunica stretta in vita da cui pende una spada, nella mano destra una lancia, ai suoi piedi uno scudo e sul capo probabilmente un elmo che è andato distrutto.

La pietra è alterata, ma rivela comunque un guerriero che non ha una posizione di attacco, che non è di spalle come potrebbe apparire a una prima occhiata, ma si offre al sole e alla sua energia e si svela a noi attraverso un gioco di luci che sulla sommità del monte lo avvolgono nell’arco della giornata.

Divinità pagana degli Alburni che i Lucani adoravano, simbolo votivo per i pellegrini dell’epoca, icona religiosa del tempo, siamo oggi in un antico luogo di culto che consumiamo felici il nostro panino, di fronte ad un totem che suggerisce un’eterna sacralità.

Vorremmo sostare ancora tra queste pietre, con di fronte Bellosguardo, poi Felitto sulla sua rupe e infine Magliano, piccolissimo, sullo sfondo. Un altro tesoro però ci aspetta nel borghetto medievale di Sant’Angelo a Fasanella: la grotta di San Michele.

Foto di Tonia Rotondo

Nascosta dietro una parete rocciosa della collina di Sant’Angelo, tesoro nascosto di una comunità di circa 500 persone che ne custodiscono il valore con orgoglio, la grotta di San Michele Arcangelo è un santuario rupestre che oggi ci apre le porte o, meglio, il suo possente portale del Quattrocento, mostrandoci un’opera creata congiuntamente dalla natura e dall’estro umano.

Una volta dentro, dopo i primi passi su un pavimento di cotto napoletano del Seicento, abbiamo un colpo d’occhio inaspettato sulla bellezza delle numerose opere, tra cui il ricco altare seicentesco in marmo su cui si erge San Michele Arcangelo e una statua della madonna bizantina con Bambino, a cui abbiamo prestato  particolare attenzione perché riprende l’immagine della madonna del Granato, cara a questi luoghi.

Foto di Tonia Rotondo

La leggenda vuole la scoperta della grotta da parte di Manfredo, principe dell’antica Fasanella, che vide il suo falcone da caccia entrare nella fenditura della roccia per inseguire una colomba. Oltre quella fessura, dove s’inoltrò con un seguito di servitori, vi trovò un altare alle cui spalle vi era una parete sulla quale riconobbe l’impronta delle ali dell’Arcangelo Michele.

Le ali sono ben visibili dietro l’altare, accuratamente dipinte per continuare a far fede alla affascinante narrazione popolare.

La grotta ha restituito reperti di presenza umana che risalgono all’età paleolitica, con possibili insediamenti durante la diffusione della civiltà greca nel Cilento, fino all’XI secolo in cui fu sede di una comunità religiosa benedettina.

Foto di Tonia Rotondo

In realtà tutta la catena degli Alburni è ricca di antri naturali scavati  e modellati nella roccia calcarea dal lavoro millenario delle acque, adibite a rifugio durante l’epoca preistorica e destinate, nel corso dei secoli, a divenire luoghi con funzioni religiose.

Un tempo la grotta era un sito religioso dedicato al culto delle acque, le cui stalattiti e stalagmiti – visibili oggi all’interno come grandi pomi in più parti del pavimento della grotta – erano percepite come segni della divinità e venerate pertanto come vere e proprie icone sacre. Solo successivamente divenne un santuario cristiano dedicato al culto di San Michele, molto diffuso in Campania.

Come il guerriero Antece, anche San Michele, condottiero delle milizie di Dio che aveva combattuto contro le orde di Satana, era un combattente. Nell’iconografia sia orientale che occidentale San Michele Arcangelo viene rappresentato come un guerriero celeste, con la spada o la lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone, simbolo di Satana, sconfitto in battaglia.

Foto di Tonia Rotondo

Virtù guerriere e difensive tracciano il paesaggio degli Alburni per raccontarci la storia dei nostri popoli.

Dalla cima di un monte alla pancia di una collina allora, anche oggi sono stati i luoghi che abbiamo attraversato a svelarci segreti e tesori sulle innumerevoli forme di religiosità della nostra terra.

“Non ci sono posti che non sono sacri; ci sono solo luoghi sacri e luoghi profanati.”
(Wendell Berry)