7 Ottobre 2017 - 09:56

“Come alla volontà piace”, a cura di G. Liguori

Come alla volontà piace – Scritti sulla rivoluzione russa, a cura del prof. Guido Liguori, è stato presentato il giorno sei ottobre alla Libreria Internazionale di Salerno

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Come alla volontà piaceè un’antologia di alcuni articoli scritti da un giovanissimo Antonio Gramsci (allo scoppio della Rivoluzione russa, l’intellettuale comunista ha appena 26 anni) negli anni 1917 e 1918, con una piccola appendice riguardante il 1926, anno in cui è riportato lo scambio epistolare Gramsci-Togliatti.

E’ un libro, questo curato dal Prof. Liguori, di cui francamente si sentiva la necessità, a 100 anni dalla Rivoluzione Russa e a 80 anni dalla morte proprio di Gramsci.

L’evento è stato promosso dall’Associazione “Memoria in Movimento” e ha visto la presenza, oltre che del curatore dell’opera Prof. Guido Liguori, anche del dr. Andrea Manzi, direttore de “La Città“, moderatore sempre sagace e puntuale.

Sono intervenuti, nell’ordine, il Prof. Guido Panico che ha richiamato alcuni articoli di un Gramsci inedito, a tratti ironico, come quando, scimmiottando maldestre teorie complottistiche made in USA, l’intellettuale comunista si diverte a riportare la definizione di Lenin come agente segreto al soldo della Germania. Inoltre, con riferimento a tanta parte della storiografia anche moderna, il Prof. Panico si è scagliato contro il vezzo deleterio di mancata contestualizzazione delle vicende storiche: anche Antonio Gramsci dice espressamente che senza la Grande Guerra nessuna rivoluzione russa avrebbe mai potuto esserci.

Di poi è stato il turno del Prof. Fortunato Maria Cacciatore che, con chiarezza e pacatezza espositiva ha, tra tra l’altro, fatto riferimento all’intuizione davvero geniale di Gramsci della rivoluzione russa come “rivoluzione contro il capitale“.

Il Prof. Cacciatore, quindi, si è soffermato sulla contrapposizione “giacobinismo/proletariato” e sulla scelta di Antonio Gramsci del secondo termine sul primo per indicare la natura della Rivoluzione russa: non da un gruppuscolo sanguinario con intento prevaricatore ha preso il là la rivoluzione, ma proprio dall’idem sentire degli operai, dei contadini e dei soldati, pacifici (non per niente le due parole della rivoluzione, pronunciate da Lenin, sono state proprio “pane” e “pace“) e portatori di una visione maggioritaria.

Infine, il prof. Cacciatore, si è divertito a richiamare e a depotenziare (depotenziamento che non significa affatto rinnegazione) il motto “fare come in Russia“, leitmotiv dell’intellighenzia degli anni immediatamente successivi alla rivoluzione.

A conclusione della seguitissima presentazione, la parola è andata al curatore di Come alla volontà piace, Prof. Guido Liguori, che ci ha tenuto a rimarcare la difficoltà tecnica di questa antologia, soprattutto con riferimento alla paternità non sempre pacifica degli articoli di Gramsci: l’intellettuale sardo, infatti, in ossequio a una concezione collettivistica del lavoro anche di redazione, non firmava mai i suoi articoli. Con la conseguenza che uno scritto da sempre attribuito a Gramsci (quell’ Odio il capodanno che puntualmente, ogni primo dell’anno, postiamo a ripetizione sui social network) è, in realtà, di un tal Bianchi.

E ancora, in Come alla volontà piacel’ottimo Prof. Liguori ha spiegato il perché della sua definizione di “pagine ingenue” (definizione di un certo impatto “mediatico”) relativamente agli articoli riportati nell’antologia: “ingenue” perché queste pagine, qualche volta, pagano lo scotto della giovane età dello scrittore sardo (quando, ad esempio, Gramsci quasi sottovaluta Lenin come guida della rivoluzione oppure quando esprime fiducia nel corpo elettorale che, secondo le sue previsioni, voterà il socialismo) ma che ciononostante saranno sempre di una profondità di analisi e di una lucidità fuori dal comune.

A riprova di ciò, anche negli anni della gioventù, Antonio Gramsci si scaglierà contro il c.d. “oggettivismo positivistico” che vuole un socialismo come naturalmente derivante dal capitalismo, quasi in un rapporto di causa ed effetto, per nulla riconoscente, quindi, degli sforzi e delle privazioni patiti dagli attori della Storia per la sua affermazione.

Alla fine della fiera, dal suo esecrabile punto di vista, Benito Mussolini c’aveva (per la prima e ultima volta nella sua vita) davvero visto giusto quando affermava che “bisogna impedire a quel cervello (quello di Gramsci, ndr) di funzionare per almeno vent’anni”

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