Il mirabil topolino di Gramsci
Siamo al primo giugno 1931. Dal carcere di Turi in cui si trova a scontare la pena inflittagli il 4 giugno del 1928 (20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione), Antonio Gramsci scrive alla moglie Giulia
[ads1] Il cervello che, secondo le parole finali della requisitoria del pubblico ministero Isgrò, per vent’anni si doveva assolutamente impedire di far funzionare, vuole raccontare, per il tramite di Giulia, una novella ai suoi due figli, Delio e Giuliano.
Dal cilindro fatato delle mille storie di Gramsci, ecco allora prender vita il topolino della storia.
Orbene, c’era una volta un topolino. O meglio, prima del topolino, c’era un bambino che dormiva. Gramsci non lo dice né la novella sembra alludervi, ma probabilmente il bambino in questione faceva di quei sogni propri di ogni bambino che si rispetti:montagne di caramello e corse nel grano dalle ginocchia sbucciate.
Sulla tavola al centro della novella, un bricco di latte pronto per il risveglio del pargoletto. Il topolino di Gramsci, probabilmente spinto dalla fame di decenni di sfruttamento, se lo beve.
Il finimondo:senza latte, il bambino strilla, la mamma si dispera. Il topolino, che al netto dell’ingordigia causata dall’atavica inedia, è un signor topolino, capisce che non serve a nulla battere il capo contro il muro (operazione, quest’ultima, che pur aveva intrapreso). Occorre reagire.
Nell’ordine, quindi, corre dalla capra per avere il latte ma “la capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare”; si rivolge alla campagna per l’erba ma quest’ultima, arida come solo le campagne del desolato sud sanno esserlo, reclama acqua; va quindi dalla fontana ma “la fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde.”
<Che debbo fare?> chiede allora, angosciato, alla fontana il topolino di Gramsci.
<Vai dal mastro muratore affinché mi ripari, no?>
E il topo riprende indomito il giro delle sette chiese là dove l’aveva lasciato.
<Io, io ti vorrei pure aiutare – spiega sinceramente dispiaciuto il mastro muratore – ma per riattivare la fontana mi servono le pietre. E le pietre, me le può fornire solo la montagna.>
“Il topo va dalla montagna – scrive Gramsci – e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra.“
Il topolino, però, non può fermarsi proprio adesso che, contrariamente a quanto pensava un attimo fa, è giunto al capolinea della vicenda. Cercando di far presa sulla montagna, le racconta tutta la storia di come all’inizio ci fosse un bricco di latte, e poi la fame sua, e il bambino….Insomma, grazie anche alla promessa fatta alla montagna che il bambino, una volta cresciuto, avrebbe ripiantato pini, querce, castagni, etc., la convince a fornire le pietre.
Le pietre vengono consegnate al muratore che riaggiusta la fontana; la fontana potrà fornire acqua alla campagna che non sarà più arida la quale, a sua volta, darà l’erba alla capra per produrre il latte.
Il bambino, allora e finalmente, avrà latte, ma tanto latte da potercisi anche lavare.
“Il bambino cresce, – lasciamo di nuovo la storia nelle sapienti mani di Antonio Gramsci – pianta gli alberi, tutto muta:spariscono le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura, etc.. Insomma, il topo concepisce una vera e propria piatiliecta” (termine russo per piano quinquennale).
Non c’è che dire:davvero un mirabil topolino, il topolino di Gramsci.
Dimenticavo:e vissero tutti felici e contenti.
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