Con una scaletta in perfetto equilibrio tra i classici del pop natalizio, molti dei quali reincisi nel suo ultimo album Christmas With Andrea Del Principe, e arie della tradizione operistica italiana, il tenore Andrea Del Principe ha conquistato il pubblico d’oltreoceano che ogni sera gli ha regalato il tutto esaurito nelle hall più prestigiose degli Stati Uniti, sulle orme dei tre tenori, Placido Domingo, Josè Carreras e Luciano Pavarotti,“coloro che sono riusciti a rendere popolare l’opera, rendendola fruibile al pubblico contemporaneo.
Del Principe, il bilancio della sua ultima tournée è decisamente positivo.
Merito anche di un gruppo di amici sinceri e musicisti straordinari che mi sono stati accanto. Il pubblico premia l’autenticità, ed io sono sempre stato me stesso. Non ho mai cercato di imitare nessuno. Spero di poter portare presto uno spettacolo del genere anche in Italia: l’idea c’è, devo solo trovare i partner giusti.
Il momento più emozionante di questa serie di concerti?
In generale amo quando una persona, che magari entra in teatro distratta da mille cose, ne esce invece sorridente e piena di gioia, come se avesse fatto un viaggio nei suoi ricordi più belli, di quelli che solo la musica e certi odori sanno regalarti. Un momento mi è rimasto particolarmente impresso: una sera, ho visto una signora tra il pubblico accennare con le labbra Mamma di Claudio Villa. Così, mi sono avvicinato e abbiamo duettato: che energia, la signora: aveva 105 anni! Il pubblico era in visibilio.
Come mai la tradizione musicale italiana ha così tanti estimatori all’estero?
Gli americani, in particolare, trascorrono da noi le loro vacanze, mete preferite Amalfi e la Toscana. Credo che associno il nostro Paese al buon cibo e alla musica, in particolare amano l’opera. Anche i musicisti hanno una profonda conoscenza della nostra tradizione musicale. Pensi che in molti casi, per Non ti scordar di me, per esempio, i miei non hanno avuto bisogno nemmeno degli spartiti, andavano a memoria. Incredibile! Per dare un termine di paragone è come se un musicista italiano conoscesse a memoria i pezzi della tradizione country americana!
E perché noi, allora, non sappiamo valorizzare questi talenti?
In Italia, quando qualcosa funziona tendiamo a replicarla. Anche a me quando ho iniziato mi dicevano, ad esempio: “Vorremmo qualcosa più alla Cristicchi”, o ancora: “Vorremmo una Valeria Rossi (interprete del tormentone Tre Parole, ndr.) ma al maschile”. La discografia non investe più sui talenti, ultima eccezione è rimasta forse Caterina Caselli che con la sua etichetta indipendente ha lanciato un grande come Andrea Bocelli, tra gli altri. E poi c’è la scena rap-trap che è ancora vitalissima. Per il resto, quando tentiamo di fare qualcosa di nuovo è come se chiedessimo continuamente il permesso all’America, ma i risultati quasi mai sono quelli sperati.
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