Caligari e l’amore tossico per il cinema
Un anno fa ci lasciava Claudio Caligari. Malato da tempo, con pochi film all’attivo e alcuni documentari alle spalle, ci ha lasciati un regista di “culto”: uno dei dimenticati dell’ingrato cinema italiano. In questo periodo, aveva appena completato il montaggio di Non essere cattivo, prodotto da Valerio Mastandrea
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Era il 1983 quando Claudio Caligari, nato nel 1948 ad Arona, cittadina piemontese sul lago Maggiore, dopo una serie di documentari sulla droga, esordì con il duro e cinico Amore tossico: cinema-verità sulla dipendenza dall’eroina, ambientato nella periferia di Roma. Un film che inseguiva la tradizione neorealista, con un cast di attori non professionisti, veri giovani di borgata, proletari e piccoli borghesi, schiavi dell’eroina.
Non c’era finzione. Caligari iniettava la veridicità allo schermo, assunta per via endovenosa, come chi vi si era dedicato a lungo “a spertusà a venazza”: tra tutte, la più cruentemente vera, è la scena dell’iniezione sul collo di Loredana.
Cesare, Enzo, Roberto detto Ciopper, Massimo, Capellone, Michela, Loredana, Debora e Teresa trascorrono le loro giornate, vuote e ripetitive, tra la spiaggia di Ostia e il quartiere Centocelle di Roma, consumandosi senza futuro nella dose quotidiana e nei furti commessi per procurarsela.
Portato al Festival di Venezia dal regista Marco Ferreri, Amore Tossico vinse il premio come migliore opera prima del cinema italiano: vinse raccontando la tossicodipendenza, quando nessuno sapeva come fare, con sequenze ravvicinate incentrate sugli occhi in preda all’euforia e all’alterazione, che citavano L’uomo dal braccio d’oro di Otto Preminger.
Nonostante un finale retorico, quella fulminea ma viscerale prospettiva caligariana, omaggiava il regista dell’Accattone per l’onesto atteggiamento frontale della camera, per l’ambientazione, il linguaggio e le tematiche sociali. Un richiamo voluto, ricercato, sperato: la stessa scena della morte di Michela è stata girata davanti il monumento dedicato a Pier Paolo Pasolini, là dove venne ucciso.
Lo stesso Caligari è stato poi spesso citato per Amore Tossico nella scena underground romana e non, basti ascoltare TruceKlan nel rap Deadly Combination. Molti dei protagonisti di allora sono stati senza, o con breve, futuro anche oltre la pellicola; altri comunque segnati da un tragico finale: tra essi lo stesso Caligari.
Claudio Caligari era amore sviscerato per il cinema, tra verità e gli anni Ottanta, tra l’umanità reietta della periferia romana e l’epicità di alcuni momenti.
Ed era anche il tributo pasoliniano, la riluttanza per la notorietà e certi ambienti sterili, per le parole che non poteva più pronunciare a gran voce, per i progetti pensati, proiettati nella sua mente ma senza fondi o sostenitori. Un vero amore tossico, che lo ha accompagnato fino alla fine.
Caligari ci ha lasciato a 67 anni e con un’eredità, piccola e grande allo stesso tempo, di soli tre film, il terzo ed ultimo appena completato nel montaggio. Non essere cattivo è stato prodotto da Valerio Mastandrea, protagonista de L’odore della notte, film liberamente ispirato al romanzo Le notti di arancia meccanica di Dido Sacchettoni.
Proprio per permettere a Caligari di realizzare il suo progetto, di apportare quella disincantata visione di cinema, Mastrandrea aveva scritto a Martin Scorsese per invitarlo a partecipare alla produzione del film: “Se ami il cinema, vieni a conoscere Caligari e rendi possibile la sua visione”.
La risposta non è mai arrivata ma quel film, nonostante tutto, questa volta si è fatto.
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