Gli inquirenti hanno trovato il nascondiglio del boss a Campobello di Mazara, da dove ieri mattina Messina Denaro era partito per la clinica.
Il covo è stato trovato a Campobello di Mazara, luogo dove si era da sempre nascosto il super boss siciliano, arrestato dopo 30 anni di latitanza. Mentre Messina Denaro si recava alla nota clinica della Maddalena a Palermo, per iniziare una seduta di chemioterapia di Palermo, è stato circondato dalle forze da decine di forze dell’ordine.
Dopo l’arresto, la polizia ha continuato a lavorare senza sosta, scoprendo che il covo centrale fosse a Campobello di Mazara, paese del favoreggiatore che l’ha accompagnato in clinica, Giovanni Luppino, imprenditore del settore olivicolo. Abbiamo poi un secondo complice, Andrea Bonafede l’uomo che ha fatto da presta nome per il cambio di identità del mafioso.
Altro aspetto fondamentale da capire, è quello della rete dei fiancheggiatori. Secondo quanto riporta Sky Tg24, oltre a Luppino e Bonafede, compaiono altri nomi. Negli anni, accusati di favoreggiamento, sono stati arrestati centinaia di fedelissimi del padrino tra i quali sorelle, cognati e fratelli. Una strategia investigativa, quella di far terra bruciata attorno al ricercato, che ha dato suoi frutti. Ma le complicità vanno ben oltre l’autista e il proprietario della carta di identità. I sospetti ricadono anche sulla clinica, poiché ci si chiede come mai nessuno sapesse chi fosse quell’uomo in cura per anni. Il procuratore De Lucia afferma che “Non ci risulta, ma indagheremo a tutto campo”. De Lucia in conferenza stampa ha anche sottolineato come sia risaputo che “fette della borghesia” per molto tempo abbiano fatto parte della rete dei favoreggiatori. Le indagini sono aperte e i magistrati, insieme alle forze dell’ordine, hanno molti enigmi da risolvere prima di arrivare ala verità.
Il boss di Cosa Nostra, latitante da 30 anni, è ritenuto uno dei responsabili degli attentati mafiosi avvenuti in Italia tra il 1992 e il 1993. È stato condannato per la strage di Capaci e per quella di via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. È ritenuto colpevole di altre decine di omicidi, tra cui quello del brutale assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo nel 1996, figlio di un pentito.
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