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Catch-22, perché “la guerra è bella anche se fa male”. Il capolavoro di Clooney

Catch-22, la miniserie co-diretta e co-prodotta da George Clooney è un significativo capolavoro del piccolo schermo. C’è tanta storia e tanta voglia di fare vera TV

Andata in onda in Italia su Sky Atlantic, Catch-22 è la miniserie adattamento dell’omonimo romanzo di Joseph Heller. Tra una cast eccellente, scenografie nostrane e una sceneggiatura penetrante, la guerra che è sfondo (e non solo) prende, a volte, pieghe inspiegabili.

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Che l’estro e la propensione a raccontare in un modo del tutto inconsueto siano più invidiabili del carisma e delle doti attoriali, forse George Clooney ne ha piena conoscenza.

L’ironia, la sagacia, il moralismo, la storiografia, la commedia, il dramma: Catch-22 è questo, e forse un po’ di più. La narrazione, a tratti sporca, delle avventure di Yo-Yo – un (in)credibile Christopher Abbott – non è altro che un parziale spaccato di quello che la guerra è, e che non dovrebbe essere. Eppure Clooney, alla prima regia di una serie TV, in Catch-22 risente di quel modo di girare tipico di uno come Adam McKay: questo anche per la presenza di David Michôd, già sceneggiatore di War Machine, discusso film di guerra prodotto da Netflix.

Il racconto, sono sei gli episodi, si incentra sulla follia della guerra, dei prepotenti maestri d’orchestra e dei succubi orchestrali, in una cornice – l’isola di Pianosa (seppur girata a Viterbo) – contenitore delle più sconsiderate personalità: dai giovani cadetti ai più titolati luogotenenti.

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Se il romanzo di Heller è un chiaro (e tra i più famosi) manifesto antimilitarista, il lavoro internazionale di Clooney ne rispetta ogni dettaglio. Lo stesso attore, regista e produttore statunitense è un attivista e pacifista (da anni combatte per la risoluzione del conflitto in Darfur) ed è sempre attento alla vita politica; ne sono un chiaro esempio pellicole quali Le idi di marzo o Good Nigh, and Good Luck. Serviva proprio l’interesse e lo sforzo di Clooney per dare giusto credito ad un adattamento del genere, dopo il non tanto convincente Comma-22 di Nichols degli anni ’60. La chiave del successo è racchiusa proprio nel formato seriale che ha permesso di comprendere appieno i paradossi della guerra e il soffocamento che può provocare una divisa. Dettagli, questi, che non si possono percepire e assimilare nel giro d’orologio di un film.

(Yo-Yo) John Yossarian, un eroe nero

Giovane, sfrontatamente bravo. Christopher Abbott è superlativo nell’interpretazione di un bombardiere dell’USAAF non tanto convinto della strada scelta. I suoi vani tentativi di scampare alle missioni, più verosimilmente alla morte, sono in grado di renderlo – almeno nei primi episodi – inviso al pubblico. Egoista, insolente, a tratti anarchico, è la rappresentazione di un ragazzo che, caduto in un qualcosa di troppo grande, affronta ogni impegno con disinteresse e ansia. Yossarian, però, è l’unico personaggio che riesce ad avviare un percorso di maturità e, sia chiaro, non di redenzione.

Maturità, almeno in questo critico contesto, vuol dire conoscere le proprie carte, capire che si è una semplice pedina e che non puoi fottere il sistema. Lì, a Pianosa, maturare vuol dire impazzire.

Immagine dalla serie Catch-22 (6×01)

Ma in questo circo di acciaio, uomini prestanti al macello, ordine e disciplina, c’è spazio anche per altre ambigue figure.

Il Generale Scheisskopf (facile ai giochi di parole, da testa di merda a testa di cazzo) interpretato con sicurezza da George Clooney. Vive di esercito, duro, essenzialmente pazzo, che rappresenta l’efferatezza di chi gestisce le cabine di comando della guerra. C’è spazio anche per il Colonnello Catchcart, interpretato da Kyle Chandler – forse con Abbott il migliore della serie – il classico militare che privo di tatto, umanità e libertà di pensiero, esegue ciò che gli viene ordinato senza titubare né opinare. E poi tanti colleghi e compagni di Yo-Yo, belli, giovani, prestanti: eppure uno ad uno crollano, cadono, vittime del sistema, di loro stessi. Ognuno di loro meriterebbe di avere una storia che, purtroppo, nessuno mai continuerà a raccontare.

Un agglomerato di uomini sfaccettati di difetti, irrazionali, ingestibili, animaleschi che indirettamente creano un vero manifesto pacifista, di rifiuto delle aberrazioni delle guerre, dei meccanismi di potere. Uomini, appunto. Perché c’è davvero poco spazio per le donne: sole – oppure povere -, o determinate ad essere giuste e mentalmente stabili, come l’infermiera Ferrer. La guerra, insomma, è una questione di maschi, non dell’essere umano.

Catch-22, con tollerante ironia e graffiante cinismo offre numerosi spunti, che possono andare al di là delle questioni meramente politiche e storiche. C’è uno squarcio aperto nei primi secondi della prima puntata e, con intelligenza, si tenta di ricucire nelle ultime immagini della 1×06: la nudità, come perfetta traduzione degli esseri viventi soggetti al destino, alla volontà di un essere superiore. Quella nudità che traspare dopo aver dismesso le uniformi – di quei ragazzi che tornano, seppur per brevi istanti, felici. Vivi. Apparentemente non scalfiti.

Francesco Celetta

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