Non ci annoiamo mai. L’anno sta per finire, come ben sanno tutti, e insieme a lui si prepara anche ad andarsene un’altro decennio, quello intercorso dal 2010 al 2019. Dopo aver analizzato le 10 migliori interpretazioni maschili cinematografiche, questa volta tocca alle 10 migliori regie. Un argomento molto delicato, che rischia di dividere gli appassionati e di sconvolgere parecchie convinzioni. Noi di ZON.it abbiamo cercato di analizzare i migliori registi, senza distinzioni di nazionalità e nemmeno di premi. Molte volte, infatti, non basta aver vinto un premio prestigioso per addebitarsi automaticamente il titolo di miglior regista dell’anno.
Il nostro obiettivo è proprio questo. Con la classifica delle 10 migliori regie del decennio ci poniamo un compito davvero molto difficile, ovvero quello di non “lasciare a piedi” nessuno di meritevole di far parte della classifica. Sarà un obiettivo davvero molto arduo da raggiungere, in quanto abbiamo goduto davvero di tantissime prestazioni dietro la macchina da presa da far urlare al capolavoro. Un vecchio stormo di registi che hanno fatto la storia hanno abbandonato definitivamente la carriera, andando in pensione. Altri hanno rinnovato la propria iscrizione all’albo dei migliori, convincendo nuovamente tutti gli appassionati cinematografici.
Insomma, non si può certo dire che sia stato un decennio “passivo”, sotto questo punto di vista. ZON.it, però, vi avverte: saranno tantissime le sorprese nella classifica, così come qualche esclusione potrebbe far storcere il naso a tantissimi appassionati. Ma convogliare un periodo incredibile dal punto di vista registico in soli 10 film è davvero riduttivo, purtroppo.
E allora, caliamoci subito in questo viaggio, in quest’impresa dai crismi davvero ardui ma che senza dubbio riusciremo a superare. Pronti per scoprire le migliori inquadrature dal 2010 al 2019? Ciak, si gira!
Ed ecco che cominciamo subito con il botto. Tra le migliori regie del decennio un posto di diritto spetta a Mr. George Miller, che con il suo Mad Max: Fury Road dimostra come dirigere un film d’azione. Se l’opera ha un impatto visivo clamoroso, lo si deve soprattutto alle inquadrature frenetiche del regista australiano.
La maggior parte degli oggetti presenti nel video sono reali, dalle auto alle varie esplosioni, così da lasciare all’arte digitale soltanto il compito di rifinitura. Il risultato è, paradossalmente, sorprendente e dona a schermo un’incredibile senso di realtà e palpabilità. Il regista riesce a mantenere alta l’attenzione dall’inizio alla fine, mantenendo l’azione sempre al centro della ripresa.
Il ritmo quasi insostenibile delle riprese, gestito in maniera incredibile, fa sì che il film diventi un tripudio di tecnica e bravura. Una sorta di Bibbia per chiunque voglia girare un film action “come si deve”. Incredibile.
Chi l’ha detto che il cinema italiano è morto? Per fortuna, Matteo Garrone ci ricorda che il mestiere lo sappiamo ancora fare, e bene. In sala con il suo “rinnovato” Pinocchio, l’anno scorso con il mitico Dogman, ispirato ai delitti del “Canaro”.
In quest’ultimo, Garrone ripercorre i suoi passi, tornando alle origini, ma esasperando ulteriormente il concetto stilistico delle sue inquadrature. L’approccio iperrealistico, il distacco nella messa in scena, i campi lunghi freddi e asettici ci donano una regia scarna, essenziale, quasi minimalista.
In alcuni tratti, sembra di assistere ad un western suburbano, dimostrando come le lezioni dei grandi come Leone e Sollima (padre) siano state recepite alla perfezione. Menzione particolare anche per Nikolaj Bruel, che con la sua fotografia cupa, regala un affresco desolante e quasi putrescente. Davvero ottima.
Ecco una delle prime sorprese della classifica. Un film che solo il maestro Park Chan-Wook avrebbe potuto girare (e che puntualmente ha fatto). Tra le migliori regie del decennio vi è sicuramente Mademoiselle, capolavoro del 2016 arrivato in Italia solo quest’anno. E ancora una volta mostra come i coreani siano sempre da prendere in considerazione (come mostra anche Parasite).
In Mademoiselle, il regista coreano dà ancora una volta prova della sua infinita eleganza estetica. Park Chan-Wook parte da piccoli dettagli come sguardi nascosti o lievi tocchi, passa per baci rapiti e (quasi) innocenti fino ad arrivare ad alcune delle sequenze di sesso (non necessariamente lesbo) più belle e sensuali che si siano mai viste recentemente al cinema.
Ancora una volta, il nostro si conferma vitale dietro la macchina da presa. Trovate non banali, sempre folli ma adatti al film. Riporta quasi ai fasti di un maestro come Luchino Visconti, che amava i drammi romantici, sempre filmati in modo incredibilmente sensibile. Lo aveva accennato con Oldboy, ora lo conferma con Mademoiselle: Park Chan-Wook è tra i migliori registi del nuovo millennio.
Passiamo a parlare di uno dei registi più significativi di questo decennio e, in generale, del 2000. Uno dei maggiori talenti che il cinema abbia sfornato in questi ultimi anni. Nicolas Winding Refn è ormai una sicurezza, e nel 2016 ha dato prova della sua capacità registica con The Neon Demon.
Qualcuno dirà “Ma perché non Drive?“. Noi rispondiamo che, nonostante il film del 2011 sia girato in maniera incredibile, The Neon Demon gli è forse superiore e non merita tutte le critiche appioppategli. Parliamo di un film fatto di forme, di colori intensi, di attimi intrisi di emozioni e di sensazioni viscerali. Refn non lesina la critica feroce allo star system americano, e lo fa con un horror davvero incredibile, sia per scrittura che per regia.
Inquadrature geometriche, campi lunghi maestosi, movimenti di macchina lenti e sinestetici fanno del film una rappresentazione perfetta del vuoto esistenziale delle modelle, vittime dello star system. Menzione d’onore per i giochi di luce “al neon”, classici della fotografia di tutti i suoi film. Una regia incredibile.
Tutti (o quasi) hanno cominciato a conoscere Damien Chazelle, regista prodigio degli anni ’10, grazie al suo musical decadente La La Land. Due anni prima, però, il regista diede prova della sua incredibile bravura tecnica grazie al suo film d’esordio, Whiplash. Il film si distingue tra le migliori regie del decennio per vari motivi.
Il ritmo registico è davvero invidiabile. Il film è un perfetto meccanismo a orologeria, lo scomporsi delle sequenze nella loro molteplicità di inquadrature possiede qualcosa di intrinsecamente musicale. La messa in scena è regolata, fino all’apoteosi della scena finale, in cui Chazelle fa capire di non essere uno qualunque e di saper padroneggiare perfettamente il pezzo.
La regia è palpitante, cattura lo spettatore fin dall’inizio e non lo lascia più, portandolo all’interno della “discesa psicotica” di un ottimo Miles Teller alle dipendenze di un magistrale J.K. Simmons.
E siamo ad uno dei masterpiece di quest’anno, targato Netflix. Martin Scorsese ci regala il suo ennesimo capolavoro, regalandoci lo storico The Irishman. Un film che sa di gigantesca dipartita, di una fine che potrebbe arrivare presto, ma che sarà grandiosa. Così come lo è anche la regia di questo film, tra le migliori regie del 21° secolo.
Se ancora ce ne fosse bisogno, Scorsese mostra a tutti che è probabilmente il miglior regista vivente. E lo fa con una regia mai gridata, che utilizza con convinzione il fuori campo, che si apre improvvisamente a inflessioni di suspense hitchcockiana, a gridati momenti di nerissima ironia. Il regista dà una lezione di rigore quasi “bressoniana“, come a sottolineare che ancora si può fare cinema di alti livelli pur intrattenendo. La narrazione, insieme alla regia, si dilata.
Il piano sequenza dell’omicidio nel ristorante resta nella storia, filmato in una maniera praticamente impeccabile. Cosa bisogna dire di più?
Ed ecco un’altra chicca, questa volta proveniente direttamente dalla Francia. Le ghost story sono pane quotidiano per chi l’horror lo mastica da sempre. Per un regista autoriale come Olivier Assayas, invece, diventa una grande eccezione. Il suo Personal Shopper è un film astratto, fatto da presenze sfuggenti più che da corpi veri e propri. E anche la regia ne risente.
Il regista attinge al registro basso del “giallo orrorifico” per comporre un quadro astratto come la sfera extrasensoriale entro cui si muove. Ci regala una Kristen Stewart senza concedersi né controcampi né fuoricampi, ma che quasi instaura un dialogo a due parti con la stessa macchina da presa.
A memoria non ricordiamo un gesto cinematografico altrettanto solitario e coraggioso. Quasi respingente registicamente nei confronti dello spettatore, se ne distacca totalmente per prendere altri lidi. Una regia minuziosa e dettagliata, davvero per palati finissimi.
Ed eccoci ad un’altra prova registica semplicemente meravigliosa. Holy Motors si può annoverare certamente tra i migliori film del decennio, sia tecnicamente che filosoficamente. Leos Carax ci regala un film sulla pluralità delle forme dell’immaginario contemporaneo ma anche sulla solitudine dell’immagine globalizzata.
E proprio dal punto di vista visivo, il film compie un balzo in avanti clamoroso. Oltre alla fotografia squisita, Carax istruisce su come inserire la regia nel corpo del film. Si dichiara autore del testo della pellicola, la fa diventare un tutt’uno con il suo movimento cinematografico. La macchina da presa diventa un’arma, uno strumento nelle mani dello stesso Monsieur Oscar (Denis Lavant).
Holy Motors è un film-corpo. E la regia questo ci restituisce: corpi in tutte le sue sfaccettature, coreografici o truccati che siano. Merito anche di una fotografia semplicemente da brividi. Il cinema come non lo avete mai visto prima, grazie anche ad una regia virtuosa e mai banale. Che si inserisce tra le migliori regie.
Non potevamo, nelle migliori regie del decennio, esimerci dal mettere quello che è probabilmente il miglior regista contemporaneo insieme a Martin Scorsese: Paul Thomas Anderson. Nel suo The Master e in Il Petroliere soprattutto, dimostra di essere il regista più capaci della sua generazione usando una messa in scena di forte impatto artistico.
Le sequenze iniziali, ambientate sull’isola lasciano incantato lo spettatore proprio per le inquadrature, sempre incredibilmente ricercate. Il montaggio è sempre funzionale alla situazione narrativa, specialmente nei punti più drammatici, accompagnato dalla magistrale fotografia di Mihai Malaimare Jr. e dalla splendida colonna sonora di Jonny Greenwood.
Una sinestesia totale, una regia curata praticamente in modo ossessivo e maniacale. Movimenti di macchina che lasciano basiti per la loro genialità e per la voglia di trovare sempre le soluzioni più difficili, sfruttate nel migliore dei modi.
Ne Il Petroliere, invece, si lascia andare ad un tocco virtuosistico, concentrandosi sui primissimi piani di un Daniel Day-Lewis in stato di grazia. Il regista asseconda il suo protagonista con la macchina da presa accompagnandolo con lunghe carrellate laterali, alternandole a stupefacenti movimenti di macchina e con l’uso di panoramiche che ci immergono in scenari desertici di atipica bellezza, dominati dalla polvere, dalle trivelle e dal nero petrolio. Clamorosi entrambi, anche se l’ultimo non è del decennio.
Ed ecco un altro film clamoroso, tra i migliori degli ultimi anni sicuramente. Yorgos Lanthimos è uno dei talenti più fulgidi dell’ultimo decennio, capace di mettere in scena una tecnica fuori dal comune e uno sperimentalismo davvero da brividi.
Il suo La Favorita è un irresistibile affresco degli intrighi di corte dal punto di vista tutto femminile. Lanthimos comunica che è con lo sguardo che si conosce il mondo. Il regista greco, dopo la metamorfosi in Kubrick, ne compie un’altra trasformandosi in Peter Greenaway e prendendone il meglio.
Grandangoli rotanti, fish eye estremi, con vistosi effetti di distorsione ottica della geometria dei luoghi. Come se volesse deformare, certo, ma anche divorare visivamente. A questo, il nostro abbina la sua sapientissima tecnica, dotata di campi larghissimi, inquadrature fisse e ritmo catartico, quasi ad ipnotizzarci. Una regia a dir poco maestosa, che inseriamo di diritto tra le migliori del 21° secolo.
Al primo posto non poteva esserci che lui. “Zio” David Lynch si è contraddistinto come uno dei migliori registi di sempre, e lo ha fatto tramite opere gigantesche come Mulholland Drive. Il film è onirico, visionario. Un film in cui prendono forma le angosce e le ansie interiori del maestro, mescolate a sogni e incubi che si confondono con la realtà, al cui centro del racconto si muovono personaggi eccentrici in situazioni eccentriche.
Lynch si muove sul set con grande fluidità ed espressività, riuscendo a calare lo spettatore in una profonda immersione emotiva, attraverso la quale riesce a comunicare la tensione, l’ansia e i vari stati emotivi dei personaggi coinvolti nella storia.
Lo sguardo registico mescola la visione soggettiva e la visione oggettiva per invitare lo spettatore a cogliere tutti i riferimenti e gli indizi che lo stesso Lynch mette in scena per permettere almeno una superficiale comprensione. Una regia che mescola ancora una volta le carte per rendere il film non più un film, ma una vera e propria esperienza sensoriale.
Surreale, sì, ma clamorosamente eccelsa. Tra le migliori regie di tutti i tempi. Anche se al di fuori del decennio.
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