Curon: una doppia chiave di lettura della serie Netflix

Prospettiva storiografica e psicologica si mescolano in “Curon”, la nuova serie italiana Netflix a cui vale la pena concedere una seconda possibilità

“Curon” è la quinta serie italiana prodotta dalla piattaforma streaming Netflix ma la prima per parlare della quale non si può prescindere dal luogo in cui è ambientata, proprio perchè è esso stesso ad offrire una chiave di lettura, sebbene ardita, dell’intero racconto,

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Siamo nella cittadina altoatesina che fin dal 1919 è al centro di un progetto per la costruzione di una diga atta alla produzione di energia elettrica; progetto che, con alterne fortune, è arrivato a compimento nell’estate del 1950.

Ma a quale prezzo? 677 ettari di terreno sono stati irrigati costringendo circa 150 famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni, e le proprie abitudini, e a trasferirsi in baracche di fortuna costruite all’inizio della Vallelonga.

Questo antefatto, affascinante e terribile al punto giusto, persuaderebbe un qualsiasi telespettatore dalla fervida immaginazione, a pensare che i “doppi” che di tanto in tanto sbucano fuori dalle acque del Lago non siano altro che gli abitanti della “vecchia” Curon, quella selvaggia, oscura, quella prima della civiltà, tornati per prendersi, con i soli mezzi che conoscono (ispirati al principio mors tua vita mea), quello che gli è stato ingiustamente sottratto.

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Prospettiva psicologica

Tuttavia, quella psicologica resta la più affascinante per leggere dentro alle trame di “Curon”, 7 puntate dirette in tandem da Fabio Mollo e Lyda Patitucci che dedicano il loro lavoro alle vittime del Covid-19 (come si legge nei titoli di coda della puntata finale): da questo punto di vista, le acque del lago di Resia non sarebbero altro che la nostra anima dal quale spesso riemergono sensazioni, ricordi, pensieri e passioni che credevamo di aver dimenticato, di aver addomesticato.

Basta un niente, un sussulto per capovolgere tutto: non a caso, ognuno dei personaggi che soccombe al proprio doppio, prima fa i conti con un trauma, un evento che sconvolge un equilibrio già labile. E questo sussulto può essere di varia natura, animato da molteplici sentimenti. I più temibili? La scoperta di un tradimento e la sete di vendetta.

Quando l’equilibrio sta per rompersi l’anima manda dei segnali: quelle che noi chiamiamo più spesso sensazioni a pelle in “Curon” hanno il corrispettivo sonoro nei rintocchi del campanile romanico del quattordicesimo secolo, l’unico vessilo della “vecchia cittadina” rimasto in piedi, che possono essere uditi solo da chi sta per ricevere la visita del proprio doppleganger, ad ennesima dimostrazione di una delle linea ispiratrice cardine della serie: il passato non può mai essere del tutto sepolto.

Altre categorie di “doppio”

Non è detto però che il trauma sia frutto di una situazione presente: il punto di non ritorno, come nel caso di Albert, dev’essere andato a ricercare nel passato; ecco, che quindi, il doppio non è più solo una categoria narrativa, ma investe anche il tempo e lo spazio.

E’ ispirato a questo principio anche il sistema dei personaggi di “Curon”: due sono infatti le famiglie al centro della trama, legate a doppio filo dal sentimento che ha unito Anna ed Albert prima e i giovani Daria e Giulio poi, auspicabilmente.

Il lavoro dell’attore e spunti per la seconda stagione

Un’altra chiave che rende “Curon” interessante è il fatto che la serie, certamente con un lavoro di post-produzione impossibile da trascurare, metta di fatto l’attore di fronte a se stesso, all’essenza del suo mestiere: farcelo vedere contemporaneamente in una doppia veste, quella “naturale” e quella del suo “doppio”, dà fisicità al principio per il quale un attore sia chiamato per mestiere a mettersi continuamente nei panni di un altro, a praticare la “bilocazione”.

In definitiva Curon è una serie a cui è giusto dare una seconda occasione. Sarà rinnovata? Auspicabilmente sì. Sono, infatti, ancora aperte le storyline di Micki e Daria che nelle ultime sequenze della prima stagione, hanno udito ognuna per se il rintocco del campanile.

 

 

Riccardo Manfredelli

Lucano, laureato presso l'Università degli Studi di Salerno. Giornalista pubblicista dal 10 Agosto 2020; Mi piace più ascoltare che parlare, più fare che mostrare. Nutro una passione smodata per tutto ciò che è Pop, per tutto ciò che è spettacolo. Su Zon.it scrivo principalmente di Cinema e Tv.

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