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Enzo Mari, formatosi all’Accademia di Brera, era nato a Cerano, in provincia di Novara, il 27 aprile 1932, ma ha sempre vissuto a Milano. Un legame intenso, quello di Mari con Milano, testimoniato dal presidente della Triennale Stefano Boeri nel suo messaggio di commiato pubblicato su Facebook: “Ciao Enzo. Te ne vai da Gigante”.
Mari fin dagli anni Cinquanta ha partecipato ai movimenti di avanguardia, ma ha sempre rifiutato il cliché dell’intellettuale astratto e lontano dal pubblico, puntando invece su una filosofia del design come attività volta a trasformare la società: “Io so solo che appena una cosa deve venire prodotta, essere venduta, è merce”.
Con il suo rigore, con l’eleganza formale dei suoi oggetti e con il suo impegno politico-sociale Enzo Mari è stato, per il mondo del design, un punto di riferimento imprescindibile.
Mari ha ridisegnato il nostro panorama domestico con oggetti diventati con il tempo vere e proprie icone: il vassoio Putrella (Danese); le sedie Soft Soft (Driade) e Delfina (Rexite), il cestino gettacarte In attesa e il calendario a parete Formosa (Danese); la sedia Tonietta (Zanotta); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi), il portaombrelli Eretteo e l’appendiabiti Togo (Magis).
Solo pochi giorni fa alla Triennale di Milano si era inaugurato quello che doveva essere l’omaggio a uno dei più importanti e innovativi designer del Novecento. La mostra che doveva celebrarlo: Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli.
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